Varsavia rilancia il ‘Polexit’ con una sentenza del suo Tribunale costituzionale. Ma la stragrande maggioranza dei cittadini vuole restare nell’Ue
Un colpo di spugna sui trattati comunitari per stabilire il primato del diritto nazionale su quello dell’Unione europea. La sentenza del Tribunale costituzionale polacco costituisce soprattutto un colpo basso messo in atto dal governo di Varsavia in mano al partito ultraconservatore Diritto e Giustizia (Pis), che non ha esitato a utilizzare la fedelissima presidente della massima istanza giudiziaria del Paese, Julia Przylebska, per gettare il guanto di sfida a Bruxelles.
A chiedere al Tribunale di intervenire per esprimersi sulla diatriba aperta con la Corte di giustizia dell’Ue (che aveva denunciato la connivenza tra potere politico e potere giudiziario in Polonia) era stato il premier Morawiecki nello scorso mese di marzo. Ma il vero artefice di questa offensiva imbottita di ruvido nazionalismo è il leader del Pis Jaroslaw Kaczynski, l’astuto burattinaio autoritario e querulo dal volto paffuto, che si era già mosso dietro le quinte per spingere lo stesso Tribunale costituzionale a invalidare la legge che consentiva l’aborto in caso di malformazione del feto. “Faccia da Poker” tenta dunque di nuovo in un tripudio di gretto populismo di assecondare la base tradizionale del partito.
Ma apparentemente la mossa non paga. Kaczynski raccoglie pochi applausi in patria, e ancora meno all’estero dove alla valanga di critiche non aderisce apertamente solo l’impresentabile tribuno ungherese Viktor Orbán. Il successo della vasta ondata di manifestazioni di protesta (da Varsavia a Cracovia, da Poznan a Lodz) indetta dall’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk conferma l’attaccamento della stragrande maggioranza dei polacchi (l’80% stando a un sondaggio dell’autorevole Gazeta Wyborcza) all’Unione europea. Di fronte a quello che può essere considerato, secondo René Repasi, esperto di questioni europee all’Università di Rotterdam, “il passo più deciso verso l’uscita giuridica dall’Ue” i 27 Stati membri non possono permettersi mezze misure. La prospettiva di un ‘Polexit’ rafforza i ranghi. Le parole del ministro tedesco degli Esteri Heiko Maas disegnano con asciutto spirito di sintesi i contorni della questione: “Quando un Paese decide di far parte dell’Ue, deve rispettare che le regole dell’accordo siano rispettate”. Come dire che nel 2004 con la sua adesione all’Unione europea (la cui riforma, il trattato di Lisbona, fu firmata cinque anni dopo dal presidente Lech Kaczynski, fratello gemello di… Jaroslav) Varsavia cedeva automaticamente parte della sovranità alla Corte di giustizia europea.
La presidente della Commissione promette un’analisi approfondita della sentenza polacca, ma di fatto Ursula von der Leyen può tranquillamente impugnare il coltello dalla parte del manico. In discussione in questi giorni vi è proprio l’approvazione di un pacchetto di rilancio di 57 miliardi di euro (di cui 23 miliardi di sovvenzioni) a favore della Polonia. Dalla sua adesione, Varsavia ha incassato ben 189 miliardi versandone nelle casse comunitarie solo 61. Se escludiamo a questo punto una resa da parte dell’Ue, la prospettiva più verosimile è una retromarcia da parte di Varsavia: una modifica costituzionale o la discretissima decisione di non pubblicare la sentenza, che al momento è stata comunicata solo oralmente. Varsavia consegnerebbe maldestramente in entrambi i casi una vittoria inaspettata a Bruxelles.