laR+ l'intervista

‘Noi, gli sconfitti della guerra civile bielorussa’

Parla un esule anti-Lukashenko. ‘La repressione continua senza soste e le sanzioni contro Minsk aiutano il potere a consolidarsi’

Protesta anti-Lukashenko dei bielorussi a Kiev (Keystone)
9 agosto 2021
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Mosca – “La guerra civile è stata vinta dalla junta”. Ivan (nome di fantasia per garantirgli l’anonimato), non ha dubbi: Lukashenko è riuscito a farla franca anche stavolta. Il nostro interlocutore è un manager di Gomel, seconda città bielorussa, che ha partecipato alle proteste nei giorni successivi ai brogli alle presidenziali del 9 agosto 2020. Solo grazie a una soffiata ha evitato l’arresto ed è riparato in Russia.

Come si ricorderà, ufficialmente l’”ultimo dittatore d’Europa” – questa la definizione usata dalla diplomazia Usa - è stato riconfermato presidente con oltre l’80% dei voti. In realtà, stando a rilevazioni indipendenti la sua rivale, Svetlana Tikhanovskaja, ha ottenuto tra il 45 e il 55% delle preferenze e Lukashenko non è andato oltre il 25-30%. In caso di ballottaggio il 66enne autocrate, al potere da 26 anni, non avrebbe avuto chance.

Due altri elementi non vanno dimenticati. Prima della consultazione, come accade da 20 anni, alcuni dei candidati più popolari anti-Lukashenko, tra cui il marito della Tikhanovskaja, sono finiti in carcere con le accuse più incredibili. Contravvenendo alla legge, le schede con i voti sono state bruciate pochi giorni dopo lo svolgimento delle elezioni, rendendo impossibile una verifica dell’esito della votazione.


Svetlana Tikhanovskaja, avversaria politica di Lukashenko (Keystone)

Le proteste di massa contro i brogli sono state veementi. Non si sono contati gli scontri, i morti e i feriti. A un certo punto il regime sembrava sull’orlo di cadere, ma l’ultima spallata avrebbe significato un immane bagno di sangue. Lukashenko, che si era fatto riprendere con un kalashnikov in mano, è riuscito a rimanere al potere grazie al ferreo controllo sulla polizia, servizi segreti (Kgb) e militari. Nel corso dei mesi il Kgb, attraverso la visione dei filmati delle proteste e degli smartphone sequestrati, ha gettato in carcere senza far troppo clamore migliaia di persone.

Scorriamo i canali Telegram attivi nei giorni delle proteste. Nexta, che aggiornava sulle dimostrazioni, ha visto uno dei suoi fondatori - Roman Protasevich – arrestato in maggio dopo il dirottamento da parte dell’Aviazione bielorussa dell’aereo di linea su cui il dissidente viaggiava dalla Grecia alla Lituania. Decine di giornalisti sono finiti in galera e i siti d’informazione indipendenti chiusi. “La guerra civile - continua Ivan Ivanovic - è stata vinta dalla junta, che è venuta a formarsi passo dopo passo, quando il popolo lentamente si è tratto in disparte e in tanti hanno preferito emigrare. Il potere ha capito che nel Paese andava tutto male; era venuto il momento di stringere le viti; si doveva ‘visitare’ se non tutte, quasi tutte, le case dei bielorussi”.

Ma perché così tanti capi dell’opposizione sono fuggiti?

Tutti pensano a loro stessi. A me, però, è impressa nella mente la frase del filosofo Aleksandr Dugin secondo la quale un politico deve morire per i suoi ideali. Di persone del genere in Bielorussia ne sono rimaste poche. Tra loro Marija Kolesnikova, che è ora rinchiusa in carcere. Con lei, sempre detenuto, Viktor Babariko, che era uno dei candidati potenziali vincenti contro Lukashenko. Tutti gli altri, dal mio punto di vista, rappresentano la classica opposizione bielorussa che vive comodamente all’estero. Come scrisse Shota Rustaveli ”Tutti quelli che si sentono strateghi vedono la battaglia da lontano”!

Come si può raccontare l’ultimo anno in Bielorussia?

L’ultimo anno è stato caratterizzato dall’insediamento della junta, dalla sua occupazione di tutti gli spazi. Repressione continua. Gli eventi del mese di luglio hanno dimostrato che la repressione non si attenua: vengono persino chiuse organizzazioni sociali, che sono sempre state apolitiche. Lo Stato cerca di guadagnare ovunque. Mette le mani anche nelle tasche dei propri cittadini. E questa è una cosa pessima, poiché non vi può essere una qualche difesa da parte della politica. Il risultato finale è che la gente ha smesso di credere che ci possano essere dei cambiamenti ed è tornata a essere amorfa, senza vita. E chissà per quanto tempo rimarrà in tale stato.


Lukashenko durante una partita di hockey con la divisa della nazionale (Keystone)

L’Occidente, Stati Uniti e Unione europea precisamente, hanno appena imposto sanzioni contro Minsk. Possono queste misure restrittive giocare un qualche ruolo in una situazione del genere?

Non nell’immediato. L’effetto delle sanzioni si avrà tra un anno o due. Ora siamo allo stadio iniziale. La Russia, comunque, interverrà con degli aiuti, affinché la Bielorussia si senta assistita e possa galleggiare. Le sanzioni sono in un primo momento usate dal potere come strumento di pressione sulle persone comuni. Poi la dinamica muterà e il peso piomberà sullo Stato.

Perché la Russia continua a sostenere Lukashenko, con cui Putin ha avuto non pochi dissapori?

La Bielorussia rappresenta uno Stato cuscinetto tra la Russia e l’Unione europea. Un Paese, per Mosca, nei cui boschi può dislocare la sua difesa anti-aerea. Dal punto di vista del carattere e della mentalità i bielorussi sono vicini ai russi. Parlano la stessa lingua e pensano in quella lingua. Ampie fette della società sono amorfe. Per Mosca mantenere questa situazione è semplice e comodo, donando dei soldi affinché la Bielorussia sopravviva. Il contrabbando, che ha acquisito nell’ultimo periodo forza, fa il resto, così il Paese rimane in piedi.

Le giovani generazioni conservano la speranza che vi saranno dei cambiamenti nei prossimi due o tre anni?

La speranza esiste sempre. Il problema è come e da chi essa verrà realizzata. Dopo le elezioni il popolo ha capito che si può rompere la macchina oppressiva. Vi è stato un momento in cui l’ondata delle manifestazioni è stata incontrollabile e i dimostranti sono stati vicini al palazzo presidenziale. Ma non è successo nulla. I cambiamenti nell’attuale situazione si possono realizzare solo dal di dentro, ma non sono rimasti ‘pasionari’. Tutti i capi della protesta sono oggi in galera o sono nascosti a casa, in silenzio, con le valige pronte per scappare.


Gli scontro dell'ottobre scorso nel centro di Minsk (Keystone)

Ma di quale sostegno gode nella società oggi Lukashenko?

Lukashenko ha ulteriormente fatto crollare la sua popolarità dopo quanto accaduto: adesso, credo, non abbia più del 20%. Con lui gli anziani, fasce di statali, uomini della sicurezza. Da oltre 20 anni in Bielorussia non esistono dati precisi, poiché essi vengono artefatti. Le ultime elezioni pulite sono state quelle del 1994, quando Lukashenko le vinse. Successivamente, attraverso l’uso di certi mezzi e dell’ideologia, veniva definita la cifra che faceva più comodo al potere.

Proprio ieri, 9 agosto, è stato il primo anniversario della protesta.

La polizia a Minsk gira in tenuta anti-sommossa e la gente non scende più in strada. C'è però movimento sui canali di Telegram.