laR+ L'analisi

Nord Stream 2, l'equilibrio gassoso

Joe Biden e Angela Merkel si sono accordati: il gasdotto sotto al mar Baltico tra Russia e Germania verrà presto completato. Tutti contenti?

I due leader hanno trovato la 'quadratura del cerchio' (Keystone)
23 luglio 2021
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Il progetto più controverso del Vecchio continente è ora realtà. Il Nord Stream 2 sotto al mar Baltico tra Russia e Germania verrà presto completato. Joe Biden e Angela Merkel si sono accordati, trovando la classica quadratura del cerchio: Washington rinuncia alle sanzioni contro le aziende che stanno terminando il gasdotto, in cambio dell’impegno di Berlino a garantire la sicurezza energetica continentale, compresa quella di Kiev; inoltre Mosca non potrà utilizzare il gas come arma geopolitica.

La Russia grida vittoria; Polonia, Ucraina e i Paesi baltici sono furibondi; l’Unione europea ne esce politicamente indebolita, non essendo riuscita a compattare tutti su un’unica linea. La Germania, invece, diventa ancora di più la potenza predominante tra i Ventisette: non solo colosso economico-tecnologico ma ora anche hub energetico. Il raddoppio del Nord Stream permetterà in effetti alla Russia di fornire agli europei gran parte del loro fabbisogno di gas, aggirando il transito per l’Ucraina, causa di ben due “guerre dell’oro blu” nel 2006 e nel 2009. Il peso geopolitico di Kiev si riduce di molto, tanto che Varsavia parla di nuovo patto ‘Ribbentrop-Molotov’.

Ma è davvero soltanto questa la lettura (apparente) di un evento in grado di rivoluzionare i destini europei nei prossimi decenni? Come hanno ben dimostrato gli antichi romani, l’edificazione di strade e infrastrutture è un’ottima occasione di sviluppo. Ma è l’uso che se ne fa di queste infrastrutture a determinare la bontà o meno dell’opera.

L’Occidente, è bene premetterlo, continua a comprare petrolio e gas da Mosca – verso la quale mantiene una certa dipendenza –, soprattutto per ragioni di equilibri globali, sperando nella conservazione della stabilità politica ed economica in Russia. Quanti più anni l’ex superpotenza comunista vivrà non affamata – sembra essere la logica occidentale –, maggiori saranno le probabilità che la democrazia possa mettere un giorno radici. Il problema è semmai che i ricchi proventi incassati in Occidente sono stati in parte spesi dai russi per lo sviluppo di nuove armi. Ma il rischio, secondo alcuni leader, ne vale la candela: sperano che la Russia alla fine si unisca alla crociata anti-cinese.

Il nodo centrale è però in realtà un altro: la Merkel si è impegnata a invertire la dinamica del rapporto tra produttori e compratori. Non dovrà essere più Mosca a dettare le regole, bensì l’Ue. Come fare? Diversificando ancor di più i propri approvvigionamenti. Fare, insomma, come fa Pechino, che quasi impone il prezzo di acquisto sul proprio mercato. Il gas, del resto, è un prodotto “regionale”.

Con questa mossa d’altronde la Casa Bianca apre al Cremlino e a Berlino. Continuare con le sanzioni non aveva più senso: l’opera si sarebbe completata lo stesso. In cambio Washington spera non solo di trovare nuovi alleati anti–cinesi, ma anche di inserirsi ancor di più nel ricco mercato energetico europeo. In particolare in Polonia e tra gli euroscettici.

L’Ucraina infine entra ancor di più nell’orbita Ue, facendo indirettamente una concessione, anche dolorosa, pur di aderire al “sogno europeo”. Bruxelles, invece, dovrà porre adesso maggiore attenzione: a Varsavia il Polexit (la Brexit alla polacca) acquisisce un argomento non da poco a sostegno delle sue tesi. Se l’ungherese Orban vincerà il referendum sulla legge Lgbtq saranno dolori.