Ticino

'Mafia in Svizzera, parlarne è un primo passo nella lotta'

La direttrice della Polizia federale Nicoletta della Valle alla presentazione all'Usi dell'Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata.

Autorità inquirenti federali e cantonali all'Usi (Ti-Press)
12 maggio 2021
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«Parlare di mafie significa sensibilizzare l'opinione pubblica sulla loro presenza, significa riconoscerne l'esistenza, anche in Svizzera. È un primo passo - sottolinea la direttrice dell'Ufficio federale di polizia (Fedpol) Nicoletta della Valle - nella lotta contro le organizzazioni criminali. Parlarne vuol dire infatti accendere e puntare i riflettori su di loro e complicarne così le attività quotidiane, poiché le mafie vivono nell'omertà e hanno bisogno di discrezione per agire. L'Osservatorio contribuirà a questo lavoro di sensibilizzazione».

'Un centro di competenze per una visione d'insieme del fenomeno'

Sì, perché è proprio questa la missione dell''Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata' (O-TiCO), presentato stamane dai suoi artefici all'Università della Svizzera italiana, dove ha sede: parlare delle mafie. E ciò grazie a un nutrito archivio composto di atti giudiziari, articoli giornalistici, saggi. Parlarne mettendo a disposizione di ricercatori e studenti documentazione su inchieste e processi in Ticino negli ultimi cinquant'anni e in altri cantoni negli ultimi dieci. Ma anche promuovendo conferenze destinate al grande pubblico. Frutto della collaborazione fra l'Usi e la Rsi, l'Osservatorio è operativo in seno all'Istituto di diritto dell'ateneo. «Abbiamo voluto dar vita a un centro di competenze», spiega la sua responsabile accademica, Annamaria Astrologo. Con l'Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata «si vuole dare una visione d'insieme del fenomeno nel nostro Paese», evidenzia il giornalista della Rsi Francesco Lepori, navigato cronista di nera e giudiziaria, responsabile operativo del centro di competenze e motore dell'iniziativa, concretizzata con l'aiuto anche dei colleghi Mattia Pacella ed Elena Boromeo. «Come magistrati apriamo i procedimenti penali quando abbiamo notizie di reato, che possono derivare pure da segnalazioni di situazioni anomale da parte dei cittadini: situazioni che vengono notate se la popolazione è informata e dunque sensibilizzata su certi pericoli - sostiene il procuratore generale Andrea Pagani avvicinato dalla 'Regione' -. Quest'iniziativa è pertanto da salutare positivamente».

'Una seria minaccia anche per le istituzioni'

Introdotta dal rettore Boas Erez, la presentazione dell'Osservatorio è stata anche l'occasione per fare il punto sull'azione di contrasto nella Confederazione alle mafie. In testa quelle italiane, che agiscono «in Svizzera, non solo in Ticino», puntualizza della Valle: Cosa nostra, 'Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita. Con la 'Ndrangheta, la mafia calabrese, «attualmente la più rappresentata nel nostro Paese». Le mafie, avverte la direttrice di Fedpol, «costituiscono una seria minaccia anche per la Svizzera: mettono a repentaglio il libero mercato e l'indipendenza delle istituzioni». Sono attive nel traffico di armi e di stupefacenti, nel riciclaggio di denaro, nelle truffe, nel mondo degli appalti e in quello della ristorazione. A loro sono ascrivibili altri reati come «la corruzione» e atti violenti quali «omicidi e regolamenti di conti». Le mafie contano su «una forte coesione interna e come abbiamo potuto constatare si sono infiltrate anche nel settore pubblico». Nella lotta a queste associazioni criminali «è di fondamentale importanza la cooperazione fra organi investigativi, a livello nazionale e sul piano internazionale, segnatamente con le autorità italiane». Per intensificarla, Fedpol «ha creato la piattaforma Coc per lo scambio delle informazioni tra i diversi partner impegnati nella lotta contro le mafie e per il coordinamento delle azioni di contrasto».

Le squadre investigative comuni

Sulla necessità della collaborazione, di una ancor più stretta collaborazione fra organi inquirenti svizzeri e tra questi e le autorità di altri Paesi pone l’accento pure il procuratore federale Sergio Mastroianni. Il magistrato richiama l’importanza anche delle «squadre investigative comuni», formate ad esempio da inquirenti svizzeri e colleghi italiani, per garantire l'esecuzione efficace «di indagini transnazionali». Annota Mastroianni: in Svizzera «l’estensione del fenomeno mafioso richiederebbe l’attribuzione di maggiori risorse alle autorità di perseguimento penale». Per Thomas Ferrari, alla testa della Polizia giudiziaria ticinese, «l’intervento delle forze dell’ordine e della magistratura non basta: la lotta alla criminalità organizzata deve coinvolgere anche altre autorità e l’intera società». È «fondamentale», rileva il maggiore della Polcantonale, che «le autorità amministrative predispongano a loro volta misure di contrasto e che procedano con denunce».

Oggi in Svizzera, riprende della Valle alludendo in particolare alla 'Ndrangheta, «conosciamo meglio il fenomeno, dopo che è stato sottovalutato per molto tempo. Siamo ora in grado di stabilire i legami tra i vari reati, mentre in passato si curavano i sintomi ma non la causa».  A proposito del ruolo del Ticino, il cantone «è in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata», assicura in un videomessaggio il direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi, non senza accennare al garantismo spinto della procedura penale svizzera. Cosa che non agevola il lavoro degli inquirenti.

In quattro anni diciannove divieti di entrata e due espulsioni

Non solo repressione. «Un altro pilastro della lotta alle mafie - ricorda della Valle - è la prevenzione: da questo punto di vista gli strumenti più severi di cui disponiamo sono i divieti di entrata e l’espulsione dalla Svizzera, che Fedpol può pronunciare quando una persona rappresenta una minaccia per la sicurezza interna ed esterna del nostro Paese». Per decidere e attuare tali misure, rammenta ancora la responsabile dell'Ufficio federale di polizia, «non occorre una sentenza penale, dobbiamo però essere in grado di dimostrare che la persona costituisce appunto una minaccia per la sicurezza interna ed esterna della Svizzera». Ebbene, «dal 2016 al 2020 come Polizia federale abbiamo pronunciato nei confronti di membri delle mafie italiane diciannove divieti di entrata in Svizzera e due espulsioni».