Per la carica di seconda vicepresidente eletta la 'ribelle' Ghisolfi con 56 voti contro i 26 di Ermotti-Lepori, proposta dalla maggioranza del gruppo
Il liberale radicale Nicola Pini è il nuovo presidente del Gran Consiglio. Eletto con 78 voti sulle 87 schede rientrate dal plenum, succede al leghista Daniele Caverzasio. Se per la prima vicepresidente del parlamento la strada per la socialista Gina La Mantia è stata spianata, per la carica di secondo vicepresidente il Ppd si è letteralmente spaccato.
La cenere che covava caldissima da giorni in casa popolare democratica riguardo alla nomina del secondo vicepresidente è prima tornata legna che arde nelle chat di molti deputati di ogni schieramento almeno da giovedì, poi si è fatta fiammata incendiaria questo pomeriggio quando dopo la candidatura di Maddalena Ermotti-Lepori, presentata dal capogruppo Maurizio Agustoni, ha preso la parola Nadia Ghisolfi: «Tacere va contro i miei principi», afferma la deputata presentando la propria candidatura alternativa «rispetto a quello che ha deciso la maggioranza del mio gruppo. Se si chiede di rispettare determinate regole poi bisogna essere i primi a farlo: oggi sono state ignorate». Le regole di cui parla Ghisolfi sono «regole non scritte che vedono da sempre la considerazione di determinati criteri per questa nomina, come l’anzianità di servizio, l’impegno e l’esperienza nel presiedere commissioni parlamentari, l’impegno della persona sia nella cosa pubblica sia nel partito». Ebbene, «non è mai capitato che un deputato alla prima legislatura (Ermotti Lepori, ndr.) venisse proposto per questo importante incarico. Al contrario, gli ultimi quattro proposti dal mio partito sono stati tutti proposti a fine carriera: Franscella all’ultima legislatura, Pagani alla penultima, Guidicelli all’ultima, Duca Widmer all’ultima. Pagani è stato scelto solo perché i più anziani in carica di lui non erano interessati». E Ghisolfi, in parlamento dal 2008, non sta zitta: «Mi hanno chiesto di tacere, di non esprimermi, di rispettare regole che ho diligentemente seguito in tutti questi anni. Ma non posso: si tratta di una questione di principio, non ho niente contro Ermotti Lepori come persona e come politica. Ma proprio perché è diritto del parlamento decidere, mi candido alla carica di secondo vicepresidente». Che l'ha seguita, votandola a schiacciante maggioranza con 56 voti contro i 26 che ha raccolto Ermotti-Lepori.
Ma è stato il giorno di Nicola Pini oggi, diventato primo cittadino del Cantone con un obiettivo dichiarato guardando verso il figlio Furio e i famigliari in tribuna: «Continuate a ricordarmi e ricordarvi che il nostro dovere di politici è prima di tutto essere buoni antenati». E con un motto: «Uno per tutti, tutti per uno. Che non è solo dei Tre Moschettieri, ma è anche uno dei motti della Confederazione ed è scritto nell'affresco qui sopra le nostre teste, a ricordarci chi siamo e cosa facciamo qui, a schiarirci le idee, a darci energia nei momenti di difficoltà, a darci coraggio, a spronarci a lavorare insieme tra parlamentari». Ma anche «quasi ad ammonirci di mai anteporre questioni personali e di partito all’interesse generale, non siamo qui per noi ma per tutti. Questo atteggiamento è necessario quando società tende a disgregarsi dividersi e individualizzarsi, non solo perché le risorse diminuiscono, ma perché uomini e donne sono privati persino del potersi incontrare, del parlarsi, dello stare insieme, dell'affrontare uniti le sfide del nostro tempo». La politica, prosegue Pini, «deve dare risposte efficaci e tempestive, anche imparando da ciò che è successo: non sprechiamo questa occasione per svolgere al meglio il nostro compito gestendo il presente e favorendo la ripartenza». Un'occasione che per il neopresidente del Gran Consiglio deve essere sfruttata pure «per dimostrare il vero potenziale della politica. In particolare a chi non ci crede più, avvicinare le istituzioni ai cittadini è uno dei compiti che mi prefiggo e uno dei miei obiettivi sarà spiegare il nostro lavoro quotidiano, cercando di coinvolgere i giovani nel nostro lavoro, infondere anche a loro un forte senso delle istituzioni e passione per cosa pubblica».
Nel suo commiato dai banchi della presidenza, il leghista Daniele Caverzasio rivendica il fatto che «come Gran Consiglio abbiamo provato a non lasciare indietro nessuno, con provvedimenti mirati e speciali uniti con il Consiglio di Stato. Giusto essere progettuali e lungimiranti, ma dobbiamo occuparci anche di chi soffre adesso, chi perde lavoro o è costretto a chiudere la propria attività. Le forze messe in campo sono state straordinarie, mi complimento con tutti voi per non aver prestato il campo a derive sensazionalistiche ed essere stati uniti e laddove possibile». Quello di Caverzasio è un commiato che sa di appello: «Adesso avremo il compito di pensare all’uscita di questo periodo, ne usciremo ma dovremo farlo tutti insieme. Con rinnovata progettualità. La gente è esausta, ma ora abbiamo un’occasione: riscattarci e ricostruire una rinnovata società. Vi chiedo di mettere da parte orgoglio e strategie interne partitiche, laddove possibile non blocchiamo progetti perché di un partito, se un progetto è buono facciamolo, realizziamolo. Non vi chiedo di rinnegare voi stessi, ma questo momento storico ci ha insegnato che solo uniti si vince». Ed è con il caro ricordo che lo lega a sua nonna che Caverzasio riassume il suo concetto di politica e di vita: «Una volta mi disse che nel caffè si può mettere tutto lo zucchero che si vuole, ma diventa dolce solo se si gira il cucchiaino. A stare fermi non succede niente, bisogna agire non reagire e aspettare».