Eletto a sorpresa in Municipio a Locarno, l'ecologista Pier Zanchi si occuperà di Città dell'Energia e Sicurezza. 'Impegno, dialogo e cambiamento'
«Se dovessi essere paragonato a qualcosa vorrei che fosse la malerba, che è riuscita a elaborare tutte le competenze per sopravvivere a tutto quello che noi abbiamo inventato per eliminarla». «Dobbiamo essere più resilienti, e adottare il cambiamento come metodo. Questo, fra l’altro, ci sta insegnando il virus». «Quando ci sono dei cittadini proattivi e c’è la volontà di fare, i risultati arrivano». «L’impegno è diverso dalla fatica. Anzi, è bello poter dire: mi sono impegnato a ridurre la fatica».
Eletto a sorpresa in Municipio a Locarno come Indipendente sulla lista dei Verdi, Pierluigi Zanchi ha le sue personalissime parabole – che potremmo definire perle di saggezza, o semplice buonsenso – perfette per inquadrarlo in una filosofia di vita cesellata dal tempo e dall’esperienza. Ma chi è, questo “ex Verde”, ecologista della prima ora? E com’è atterrato nella stanza che più conta a Palazzo Marcacci?
In effetti, francamente non me l’aspettavo, né se lo aspettava il gruppo. Difficilmente in una situazione di crisi la gente vuole cambiare: è più sicuro rimanere con quel poco che si ha, piuttosto che tentare il salto e correre il rischio di essere creativi. Ora mi sento tranquillo e contento per il risultato. Soprattutto, sento un bell’entusiasmo per collaborare con i colleghi e dare un contributo condiviso alla conduzione del Comune. Dopo la prima seduta mi è venuto naturale dire al sindaco che se lavorare in Municipio è sempre così, ci metto subito la firma. L’ambiente era molto rilassato e molto pacato e si è potuto mettere sul tavolo un po’ tutte le questioni che ci stanno a cuore. È stato un bell’incontro, sia nell’ambito della ripartizione dei Dicasteri, sia per il vicesindacato, poi andato a Giuseppe Cotti.
Ho fatto il tirocinio di cuoco all’allora stellato “La Palma” di Muralto, poi ottenuto la specializzazione di cuoco in dietetica e avuto esperienze nel settore dell’alimentazione alternativa; parliamo di 40 anni fa. Avrei voluto continuare gli studi a livello superiore, ma venendo dall’apprendistato era molto complicato. Oggi con la maturità professionale è diverso. Così mi sono fermato e ho lavorato, riuscendo comunque a portare a termine un’ulteriore formazione come tecnico superiore in nutrizione umana. L’ho fatta in Africa, in Tunisia, dove ho vissuto due anni. In seguito ho fatto una ricerca nel contesto ospedaliero al vecchio Obv di Mendrisio, portando avanti con l’allora primario di Cardiologia Giorgio Noseda una ricerca sull’introduzione di alimenti a base di soia, in particolare il tofu. Erano gli anni in cui con Rossano Bervini in Consiglio di Stato c’era un’azione molto spinta nel promovimento della salute. Nell'88 ho deciso di provare a mettermi in proprio, e a furia di provare... sono 33 anni che ho l’azienda, la Tigusto Sa, che conta oggi 7 persone, me compreso. Aggiungo che nel frattempo mi sono formato come cuoco della gastronomia e in contemporanea ho insegnato per 17 anni alla sezione di Lugano dei cuochi in dietetica, e in altri ambiti. Sono pure socio e co-fondatore della Cooperativa ConProBio.
Sì, e sono orgoglioso di essere il primo ecologista eletto come municipale in una città del Cantone, e proprio nella città, Locarno, che diede i natali al Movimento stesso. Da allora ho lavorato per eliminare la frammentazione che c’era a livello politico e sono così nati i Verdi, di cui sono anche stato per un breve periodo il coordinatore. Due anni fa ho deciso di lasciarli.
Da una parte ho vissuto un cambiamento personale. Dopo aver fatto una serie di esperienze in vari ambiti – associativo, aziendale e politico – mi sono accorto che nel sistema vi sono alcune dinamiche ancorate a 200 anni fa, nel senso che per creare, e far funzionare qualcosa dobbiamo per forza aggregarci ad associazioni e partiti con una base ideologica di fondo. Questo secondo me determina un grande spreco di tempo, energia e soldi; ma non tanto per raggiungere degli obiettivi, quanto per superare delle differenze ideologiche che in alcuni casi sono esacerbate. È quindi maturata la convinzione che è possibile candidarsi presentando le proprie competenze e puntando molto sul dialogo, sulla comunicazione empatica, sul confronto delle rispettive esigenze e la ricerca di soluzioni. La scelta di correre da solo mi ha permesso di essere molto più rilassato, e di conseguenza accogliente rispetto alle persone che si sentono di appoggiare dei progetti. È proprio questa la filosofia che intendo portare in Municipio. Parliamoci chiaro: i bisogni di base sono uguali per tutti e valori come la comunanza e la concordanza sono universali e vanno ben oltre la destra o la sinistra.
Il sindaco aveva fatto un opportuno giro di telefonate preventivo per sondare il terreno con tutti. In base alle competenze, da imprenditore non mi sarebbe dispiaciuto il Promovimento economico. Tuttavia, bisognava tener presente che i 4 uscenti avevano già dei dossier non indifferenti da portare a termine. Era quindi inopportuno procedere con un grande rimpasto, vista anche la legislatura corta. Al di là dei singoli Dicasteri, per trattare determinati temi sarà necessario collaborare. Informalmente, Nicola Pini mi ha già coinvolto in vista del Polo dell’artigianato alimentare, viste le mie esperienze, e tutti quanti saremo sicuramente coinvolti per cercare di favorire l’insediamento di una scuola alberghiera al Grand Hotel di Muralto. Un tema, questo, che ci spingerà a tornare a parlare di aggregazione. Devo dire che fin dal primissimo incontro ho avuto l’impressione che si possa lavorare in modo molto più concreto rispetto a quanto è possibile fare in Consiglio comunale. Un contesto nel quale, fra l’altro, 13 anni fa mi ero scontrato con dinamiche del genere “se tu appoggi noi, noi appoggiamo te”. Avevo fatto notare che a me interessano le idee, non il “dare per avere”. Una buona proposta merita di essere sostenuta da qualunque parte arrivi. Molti erano rimasti destabilizzati, ma questo sono io.
L’obiettivo, elevatissimo, è arrivare a essere Città 2000W. Mediamente consumiamo 4000kW all’anno come nucleo familiare, il che significa che dobbiamo dimezzare, in tutti i settori. La mèta è raggiungibile e il cammino per arrivarci, pur con tutti i limiti che possiamo avere, continuerà perché è ben tracciato. Credo che le specifiche competenze con cui sono riuscito a non far fallire la mia azienda potrò metterle al servizio del Comune. Sono per altro convinto che anche qualora non volessimo porci un obiettivo così ambizioso, sarà la natura ad imporcelo. La mia idea è favorire nella popolazione la consapevolezza che un cambiamento non va contro il suo interesse, ma anzi aumenta il suo benessere. Per dirla in altre parole: riuscire a capire come migliorare la qualità di vita utilizzando le risorse a disposizione in una maniera diversa. Faccio un esempio: da 4 anni sperimentiamo a Locarno l’orticoltura elementare, il cui motto è “dal campo alla tavola, senza fatica”. In 4 anni non abbiamo usato una goccia di petrolio per la coltivazione, né un grammo di concime e neppure una goccia d’acqua. Tutto questo ha fatto diminuire la quantità di prodotti coltivati? O la qualità? Ha generato più fatica rispetto ad una coltivazione “normale”? La risposta è sempre “no”. Perché abbiamo replicato il “sistema bosco”, utilizzando degli scarti (che di solito sono un costo di smaltimento), trasformandoli in un valore. Non abbiamo quindi peggiorato la nostra situazione, ma abbiamo semplicemente cambiato la prospettiva, sentendoci sicuri nel cambiamento. C’è l’impegno, è chiaro, che è diverso dalla fatica. Nell’orto ho ridotto la fatica della metà, e per farlo ci ho messo l’impegno, il che può anche significare creatività e divertimento, o, altrimenti detto, felicità, che come tutti sappiamo fortifica il nostro sistema immunitario. A questo vanno aggiunte le componenti della condivisione e dell’integrazione, vista la marcata presenza interetnica e intergenerazionale fra i collaboratori.
Ho conosciuto il Comandante della Polcomunale quattro anni fa, quando si era presentato all’Associazione di quartiere delle Gerre di Sotto. Ricordo che mi era piaciuto il suo discorso riguardo al servizio di prossimità. Da responsabile politico vorrei puntare sulla comunicazione empatica, che proprio per questo genere di servizio è uno strumento eccezionale in più a disposizione. Prima di andare oltre a questo vogliono conoscere l’apparato, capire come funziona anche in relazione alle convenzioni con i Comuni limitrofi, e informarmi sulle esigenze.
La situazione pandemica, con tutte le limitazioni in atto, ha acuito un bisogno di incontrarsi che è insito anche nei giovani. E se così non fosse sarebbe grave. Rispetto a 40 anni fa gli spazi a disposizione dei giovani sono nettamente diminuiti. Allora non c’era praticamente nessun controllo, se non quello sociale e informale, e c’era quindi maggiore libertà per attivare processi aggregativi. Credo anche, però, che i problemi riscontrati siano da ricercare a monte, nella pianificazione urbanistica. È forse lì che bisognerebbe cominciare a intervenire per prevenire i conflitti. Alcune grandi città lo stanno già facendo, favorendo la creazione di parchi e altre zone d’incontro al posto degli edifici dismessi. È un discorso che spero possa essere debitamente affrontato anche nella ridefinizione degli spazi pubblici del centro urbano. Per altro, non posso non ricordare la nascita dello Spazio Elle, per cui una piccola medaglietta me la voglio apporre. Se oggi esiste questo meraviglioso centro culturale, in pratica autogestito, è senza dubbio grazie alle autorità, che hanno fatto ciò che dovevano; ma prima ancora al lavoro che, con grande perseveranza, ho condotto assieme ad altre persone. La prima è l’artista e attrice Maria Fizzi, con cui avevamo stimolato un Forum delle associazioni estromesse dalle ex Scuole comunali (oggi sede del Palacinema) facendo capire che era importante costituire un ente unico che diventasse referente del Comune. Abbiamo anche lavorato sulla fiducia. Sono convinto che se riusciamo a coltivare la fiducia avremo sicuramente una Città in cui la qualità di vita è migliore non perché ci sono telecamere o divieti, ma poiché la gente stessa, imparando ad amare il suo territorio, ne avrà più rispetto.