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Silvia, chef vegana, e quella voglia di mangiarsi il mondo

Rileva in pieno lockdown un ristorante, con l'estate la nuova sfida, sempre a Mendrisio, con 'Aquafaba': "Punteremo anche sul takeaway e sul vegetale sfizioso"

Silvia Serena, chef vegana (Ti-Press)
14 febbraio 2021
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Voleva 'mangiarsi' il mondo Silvia Serena. Alle spalle, un passato da ragioniera a Brescia, di fronte, una sfida gastronomica fuori da ogni schema, soprattutto in Ticino. Ma forte della sua passione e del suo studio, all'accademia dello chef stellato Pietro Leemann, ha vinto la scommessa. E dopo 'Melamangio', a 45 anni, aprirà presto, sempre a Mendrisio, il suo ristorante vegano, 'Aquafaba', ovvero l'acqua di conservazione dei ceci che, si dice, abbia proprietà particolari. «Ci spostiamo quest'estate accanto all'Ospedale Beata Vergine – ci racconta con quell'entusiasmo che neppure la pandemia è riuscita a scalfire –. In effetti, la mia avventura è cominciata in salita. Ho deciso di rilevare l'attuale locale l'8 marzo 2020, cinque giorni dopo, per il virus, hanno chiuso tutto. Ho passato mesi duri, che non si mangiava e non si dormiva. Ma essendo il nostro l'unico ristorante vegano della Svizzera italiana continuo a essere ottimista». Con lei, a fare squadra, ci sono il marito, Simone Arrighi, Danila e Federica. A... bollire in pentola diverse nuove idee: «Punteremo molto sul takeaway, con piatti studiati proprio per questo, attraverso piatti già pronti oppure scomposti da 'assemblare' a casa, e completi di istruzioni sul come farlo. In via Turconi avremo del resto un bacino importante, pensiamo alla vicinanza con la stazione, l'Accademia, il campus Supsi, il liceo e lo stesso nosocomio. 'Aquafaba' sarà, comunque, la continuazione di un progetto già in essere, nato per diffondere la conoscenza di un'alimentazione e uno stile di vita più etico, sano e sostenibile. Lo continueremo a fare prendendo i clienti per la gola, dimostrando che un piatto 100% vegetale può essere altrettanto, se non più buono, di uno a base di carne e derivati animali, adatto a chiunque ami mangiare con gusto».

Come detto, il suo «è un percorso lontanissimo dalla cucina. Ho fatto anche la commessa, la barista, cambiando spesso lavoro perché non avevo mai soddisfazione. Di cucinare non ne ero capace – ci confida la chef –, da onnivora mangiavo solo cibo confezionato o fast food, prodotti congelati, ero a questo livello. Sapevo cucinare la pasta con il pomodoro e fra le cose più elaborate le lasagne. Quando sono diventata vegana, nove anni fa, questo tipo di cibi pronti non esistevano. E quindi mi sono detta: e adesso? Cosa mangio?». Due le motivazioni che l'hanno portata alla scelta vegana: una etica e una salutistica, la prima condizionata da un'esperienza professionale legata a una filiera alimentare suina («terminato il business plan mi sono detta 'divento vegetariana'»), la seconda legata a problemi debilitanti al tratto gastrointestinale: «Stavo malissimo. Non conoscevo ancora la parola vegano. Ma siccome avevo già eliminato i latticini per i miei problemi di salute, le uova non mi piacevano, sono passata ad essere vegana in un giorno. Con il tempo il discorso salutistico è diventato sempre più importante spingendomi verso branchie del veganismo un po' più... estreme. Sono, infatti, tendenzialmente crudista, faccio periodi fruttariani, digiuni. E non mi sono mai sentita meglio». 

Dal piatto alla scelta di vita

Da scelta nel piatto a scelta di vita: «Ho avuto molto tempo per sperimentare, ho buttato tanto cibo nella spazzatura perché non commestibile. Scoccata la scintilla però, sono passata dalla pasta congelata a cucinare cinque-sei ore al giorno. All'inizio con scarsi risultati, poi ho iniziato a fare dei corsi di cucina vegetale, prima 'alla buona' e fino ad arrivare a conoscere il 'Joia'. Lo facevo soprattutto per mio piacere personale, non c'era ancora l'idea del ristorante, lo vedevo come una cosa impossibile da realizzare, accontentandomi di cucinare a casa e tenendo a mia volta corsi, dove ho conosciuto la ragazza da cui sono venuta a lavorare come cuoca al 'Melamangio', a Mendrisio, dove ero anche gerente. Nato come bar per famiglie, che però non ha mai preso piede, si è via via trasformato in un ristorante. Non avevamo idea, in una cittadina come il Magnifico Borgo, di quanto successo avremmo potuto riscuotere. Qui c'è una mentalità piuttosto tradizionalista ed è stato un vero e proprio salto nel buio. Invece, da quasi subito, ha avuto un grande riscontro e molte richieste, tanto che, da essere aperti solo a pranzo, si è cominciato ad aprire anche la sera». 

Si è parlato, oltre che di cucina, anche di digiuno. Un argomento, per certi versi, anche controverso. È così? «Purtroppo da questo punto di vista c'è ancora ignoranza, spesso il messaggio fatica a passare sia attraverso i media sia attraverso certa medicina. È come se, negli ultimi cento anni, c'è stato un blocco di tutto quello che erano anche le tradizioni più antiche. Ci si è rivolti alla cura farmacologica di un sintomo, al suo correre ai ripari, senza pensare a prevenire in modo sano. Per me, invece, la cucina terapeutica è importantissima e, quando ci sposteremo, è mia intenzione svilupparla, con la collaborazione di esperti. Il mio sogno personale è quello di preparare piatti ipersalutisti, destinati a persone con patologie. Del resto l'alimentazione è fondamentale. Le più importanti associazioni mediche internazionali ormai da tempo dichiarano che una dieta a base vegetale ben pianificata è adatta in ogni stadio dell’età evolutiva e che è auspicabile in quanto preventiva rispetto alle più comuni malattie cronico-degenerative. Purtroppo l'attenzione alla propria salute nella maggior parte della popolazione è al giorno d'oggi inesistente. Lo dico anche per i vegani. C'è infatti quello per etica, il vegano per il pianeta o per la salute. Credo, diversamente, che nel 2021 essere vegano debba essere tutte queste cose, insieme». Come a dire: è necessario dare più attenzione al proprio corpo? «In effetti non ci si ascolta più, si dà per scontato quello che si sente magari in tv, si legge online. Tutto ciò è sbagliato, perché ciascuno di noi è unico, quindi non c'è nessuno che può sapere meglio di noi stessi come stiamo e cosa ci fa meglio mangiare. L'autoascolto è fondamentale».

Dalla carbonara senza pancetta al tiramisù senza uova

Una sfida, si diceva, vinta quella di Silvia. Forte di una clientela serale quasi esclusivamente fuori da Mendrisio, e proveniente soprattutto dal Luganese, da Ascona, Locarno: «Peccato per il Bellinzonese dove vi è un'alta percentuale di vegani, ma che amano poco spostarsi... – annota la chef –. Fra i nostri clienti l'80% non è vegano, abbiamo vegetariani, molti onnivori. E di questo sono felice perché realizziamo il nostro obiettivo ovvero sensibilizzare e far vedere che si può mangiare bene anche rispetto a un ristorante più 'tradizionale'. Da vegana che ama uscire a mangiare, devo ammettere che è difficilissimo che io esca soddisfatta da un locale. È ancora poca l'offerta per questo tipo di cucina, e sono pochi quelli che ti portano a dire wow, si finisce quasi sempre alla spadellata di verdure o poco più, o a cibi pronti». Cosa risposte, invece, alle critiche di chi vede la cucina vegana come limitante? «Il nostro stile di vita moderno non è naturale. Noi siamo stati creati da Madre Natura per essere come tutti gli altri animali, per vivere cioè allo stato brado. Se quindi vivessimo nella foresta avremmo tutto quanto il nostro corpo ha bisogno, a cominciare dalla mela che raccolta da terra mi fa assumere B12. Oggi, invece, la sterilizzazione ci porta a non avere nulla di naturale. Pensiamo ai cibi industriali, ai derivati animali per cui il nostro corpo non è fisiologicamente predisposto e per questo potenzialmente protagonista di infiammazioni all'intestino. Nei nostri piatti non utilizziamo perciò alcun ingrediente di origine animale, niente carne, pesce, formaggio, uova, miele e naturalmente nessun cibo pronto preconfezionato. Ma non per questo rinunciamo ai piatti della tradizione, che rivisitiamo in versione vegetale. Come, ad esempio, la nostra carbonara vegetale, il tiramisù o la tartare di tempeh (un fermentato di soia) che sono assoluti bestseller. Ciò che caratterizza maggiormente la nostra cucina è la ricerca del gusto, per sfatare il pregiudizio, purtroppo ancora molto radicato, che mangiare vegano sia triste e insapore e che comporti numerose rinunce».

Un aspetto, salutista, che porta anche al rispetto dell'ambiente: «I più recenti dati della Fao mostrano come il 70-80% delle terre coltivabili siano destinate alle colture intensive per la produzione di mangimi per gli animali da reddito, per non parlare delle sempre più numerose deforestazioni che, oltre a distruggere gli angoli più belli della Terra, sono causa dell’estinzione di diverse specie animali, nonché della produzione di quantitativi preoccupanti di anidride carbonica, che insieme alle emissioni degli stessi animali negli allevamenti intensivi, sono la prima causa al mondo di inquinamento. Diventa quindi fondamentale l’impegno per ridurre il più possibile il nostro impatto sul pianeta, e seguire un’alimentazione a base vegetale è senza dubbio un ottimo modo per iniziare. In una cucina professionale purtroppo non sempre è possibile utilizzare materiali ecocompatibili, a causa delle rigide regole di igiene, ma facciamo del nostro meglio per sostituire, dove possibile, i materiali più inquinanti con altri riciclabili o comunque più ecologici, come per esempio i nostri contenitori per l'asporto» non manca di far sapere Silvia.

Fra prevenuti, curiosi e perplessi

Prevenuto o no, la cucina vegetale, attira sempre molti curiosi: «Le reazioni sono diverse. Chi già viene preparato, chi invece si siede a tavola con la piva sotto i piedi perché trascinato da parenti, amici o colleghi – sorride la chef –. C'è l'onnivoro attento alla propria alimentazione, il riduzionista o flexitariano, c'è la categoria di chi va alla scoperta di altre cucine come l'indiana, la giapponese o la thai. Chi si siede ai nostri tavoli però, in pochi escono ancora perplessi, la maggior parte ritorna». La scelta è ad ogni modo stuzzicante: risotto con castagne e zucca, formaggino di anacardi, spezzatino di tofu con funghi al cioccolato: «Non bisogna rinunciare per forza a un piatto preferito per mangiare vegano. Una 'cacio e pepe' da noi diventa 'la bacio e pepe', e non mancano cazöla, pizzoccheri con formaggi vegetali. È una questione di leggero cambio di direzione mentale. Invece di comprare burro, latte e formaggio, metto nel carrello gli anacardi, ma soprattutto tanta frutta e verdure fresche, cereali e legumi. Oggi è più facile, dieci anni fa non era così. Certo ci vuole più impegno. Non tanto perché sono piatti più difficili, è il numero di ore di lavoro che aumenta. Se voglio cucinare un risotto col 'gorgonzola' mi ci vogliono tre settimane minimo per la fermentazione e maturazione, divento come un casaro. E per ogni preparazione c'è il suo tempo di stagionatura. Per i crudisti l'impegno è ancora maggiore perché tanto è essiccato. Questo impegno spesso non viene recepito e può andar a influenzare sui prezzi».

Ristorante vegano al 100%. Un cambiamento che pare totale: «All'inizio ci ha molto penalizzato. Perché magari non avevamo il latte per il caffè... Ma essere coerenti è molto importante a livello di immagine e identità. Se sono, e offro, vegano lo sono in tutto. Altrimenti si finisce per perdere credibilità e il cliente non capisce più se sei... carne o sei pesce, o meglio... se sei tofu o tempeh! Se inizialmente può essere penalizzante, perché il bacino d'utenza è più ristretto, in pratica diventa poi un punto a favore. Ciò ci ha portato a non servire superalcolici, ma solo gazzosa e birra artigianale ticinese, vini ticinesi o italiani bio vegan senza solfiti, tè freddi senza zuccheri, e neppure in terrazza si può fumare. È una questione salutistica. Certo è rischioso, ti privi di tante persone ma ne guadagni altrettante. È un perdere per un guadagnare da un'altra parte». Una filosofia di vita che guarda a nuovi sostenitori: «Purtroppo non abbiamo diritto ai contributi per i casi di rigore dovuti alla pandemia così abbiamo lanciato un'azione di crowfunding (www.lokalhelden.ch/it/ristorante-melamango). Ma non per questo non ci fermiamo, per tutto il lockdown il 'Melamangio' è operativo con il takeaway, prenotando il giorno prima». 

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