È stata la malattia neurodegenerativa a dover lottare contro la sua voglia di vivere. Il musicista è morto a 48 anni, lasciando un'impagabile lezione umana.
“In quale stanza si trova ora?”, gli chiese Nicola Gallino di Repubblica nel novembre del 2015 facendo riferimento all’album ‘The 12th Room’ (La Dodicesima stanza), il primo da solista; “In quella che fa attraversare tutte le stanze”, rispondeva il Maestro. “Quella che fa meravigliosamente paura perché per la prima volta immagino il davanti. La Dodicesima Stanza non è la fine: è la stanza che ti libera”. È definitivamente libero Ezio Bosso, morto a Bologna all’età di 48 anni. Ma è stata la malattia neurodegenerativa, sopravvenuta nel 2011 dopo l’asportazione di una neoplasia al cervello, a dover lottare contro la forza del musicista, diventata nel tempo lezione di vita ancor prima che di musica.
'Quelle stanze che ci appartengono'
Il male non gli ha impedito, pur minandolo nelle fondamenta, di condurre in porto quel sogno di bambino di dirigere un’orchestra. Stella della musica classica, uno da più dischi d’oro e sold out propri del mondo del rock, nel settembre del 2019 aveva annunciato che quello di La Morra, una delle perle delle Langhe, sarebbe stato il suo concerto di addio. “È l’ultima cosa che faccio in pubblico”, disse chiudendo la serata con una poesia di Emily Dickinson. “Ora andrò avanti a colorare quelle stanze che ci appartengono”.
Pochi mesi prima, nelle musicali stanze della Rsi per presentare ‘The Roots (A Tale Sonata)’, ultimo e definitivo album per pianoforte – il suo – e violoncello – Relja Lukic, cfr. laRegione del 5.12.2018 – i primi segni di una fatica sempre più vicina all’insormontabile: “Ormai non lo suono quasi più”, ci disse prima dello showcase serale riferendosi al coda davanti al quale sedeva, distendendo le mani e ringraziando il collega serbo per averlo spinto a dedicarsi nuovamente allo strumento. “La musica è benessere, lo è sempre stata. Paradossalmente, anche ora che le mani mi fanno molto male e mi servono tante medicine, anche solo per fare poche note”.
“Chi, a 16 anni, non sarebbe andato a suonare con gli Statuto? Ai concerti era pieno di ragazze”, disse ancora in quel pomeriggio luganese, ricordando il breve trascorso nello ska italiano. “Ma io appartengo a Bach, a Monteverdi, mio papà è Beethoven”. Che si sia trattato del direttore d’orchestra, del compositore o dell’esecutore, Bosso ha legato il suo nome alle più importanti istituzioni musicali del mondo, suonando alla Royal Festival Hall, alla Sydney Opera House, alla Carnegie Hall, dirigendo la London Symphony Orchestra, le orchestre del Regio di Torino e del San Carlo di Napoli, quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e a molte altre.
La sua musica è stata commissionata dal Bolshoij, dalla Royal Opera House, dal cinema. In Svizzera lo hanno applaudito al KKL di Lucerna (e l’applauso è durato 15 minuti) e non di meno al Lac. I centomila nei teatri nel 2015 in occasione della tournée per solo pianoforte rappresentano un ‘caso’ nella classica italiana; ‘Ezio Bosso… and the Things that Remain’, ‘Ezio Bosso – The StradivariFestival Chamber Orchestra’ e, ancor prima, ‘The Venice concert’ (Sony Classical, 2018), live con la Filarmonica della Fenice e Sergej Krylov, è altro materiale per le fonoteche nazionali.
'Ascoltare, la cosa più importante che esista'
Un passo indietro al 10 febbraio del 2016. Il pubblico della 'leggera' conosce Ezio Bosso sul palco del Teatro Ariston di Sanremo, lui sulla sedia a rotelle e davanti un coda nero. “Ci vorrebbe quella signora che traduce. Sono emozionato, parlo peggio del solito”, esordisce con sincera e autoriferita ironia; ad ascoltarlo è il pubblico della più popolare delle manifestazioni legate alla musica e, soprattutto, l’orchestra del Festival della Canzone Italiana, seduta di fronte a un collega che sa bene – anche i musicisti ne sono consci – che un giorno la malattia gli impedirà di suonare il suo strumento, forse il peggiore dei mali; Bosso esegue ‘Following a bird’ da ‘The 12th room’, e quando ha finito si abbraccia il pianoforte. Pochi istanti prima aveva dichiarato che “la musica è terapia”, ma anche “magia, non a caso i direttori d’orchestra hanno la bacchetta. Come i maghi”. E che “ci insegna – sempre la musica – la cosa più importante che esista: ascoltare”.
Quanto basta perché Bosso sia ad oggi l’unico italiano invitato al Parlamento europeo a parlare di cultura: “Sono un bambino che da quando aveva quattro anni è stato abituato a essere europeo. Noi che dedichiamo la nostra vita alla musica frequentiamo germano-austriaci, Beethoven, o francesi, Debussy, o tedeschi, Brahms, Mendelssohn. Da centinaia di anni continuiamo a suonare Bach, un ragazzo che fece a piedi settanta chilometri per conoscere la musica di Benedetto Marcello, o Schubert, che spese gli ultimi soldi per andare a sentire Paganini, ma non perché fosse italiano, ma perché era un violino”.
'Un grande musicista non è chi suona più forte, ma chi ascolta più l’altro'
Quello rivolto ai parlamentari il 27 giugno del 2018 fu un invito a superare muri che gli ensemble, grandi o piccoli, non hanno mai conosciuto: “Nella mia orchestra, il primo violino è rumeno, la prima viola ungherese”, disse. E ricordando i Giovani della Comunità Europea diretti da Claudio Abbado: “Da lui imparammo che eravamo tutti un’orchestra”. Al termine di quei non troppi e intensi minuti, un’ultima verità: “Un grande musicista non è chi suona più forte, ma chi ascolta più l’altro. E da lì i problemi diventano opportunità”. Proprio per onorare Abbado a cinque anni dalla sua scomparsa, rispondendo all’invito di Bosso e dell’associazione Mozart 14 per la quale il musicista appena scomparso era stato testimonial e ambasciatore, cinquanta musicisti provenienti dalle orchestre di tutto il mondo si erano uniti alla European Union Youth Orchestra e all’Europa Philharmonic Orchestra per un ‘Grazie Claudio!’ tenutosi a Bologna nel gennaio del 2019 e pubblicato dodici mesi più tardi.
'Musica per tornare a essere una società'
Introdotto dalle immagini d’archivio della sua orchestra, visibilmente commosso ma sempre con il sorriso a fare pendant con l’informale cuffia, Ezio Bosso aveva concesso a Rai News un’ultima intervista solo lo scorso mercoledì: “I diritti possono essere sospesi – aveva detto commentando l’attuale stato d’emergenza e le conseguenze per la categoria – ma la musica è una necessità. Come respirare, come l’acqua. E la necessità di distribuirla a tutti, di far star bene tutti, è il compito del musicista”. Una musica che “ha bisogno di visione, di speranza” e che invece “non ha bisogno di essere relegata alla solita Cenerentola che puoi fare da casa”. Musica che ha una funzione da “prendere sul serio da tutti”. Musica “per tornare a essere una società”, musica “che ci rende umani per davvero, fuori da tutti i solipsismi dei social e da tutto questo nostro guardare a grida e strilli”. Musica che “sussurra, e ci svela la vita”.