Ecosistemi sempre più fragili
Anno dopo anno, gli ungulati migratori affrontano lunghi viaggi attraverso vaste aree per trovare cibo, sfuggire a condizioni climatiche difficili e riprodursi. Ogni specie segue percorsi diversi. Basti pensare alle gazzelle della Mongolia, alla saiga della Russia, agli gnu del Serengeti, al guanaco del Sudamerica, ai caribù dell’Artico, ma anche alle stesse zebre in Africa. Gli ungulati sono essenziali per la salute dei vari ecosistemi globali. Fungono da prede per i grandi predatori, fertilizzano il terreno al loro passaggio e per molte comunità locali e indigene sono una fonte essenziale di sostentamento. Insomma, le loro migrazioni stagionali sono necessarie per la salute degli ecosistemi e per sostenere gli animali e le persone che dipendono da loro. Sfortunatamente, le migrazioni degli ungulati stanno scomparendo perché gli esseri umani costruiscono sempre più strade, recinzioni e altre infrastrutture che ostruiscono i percorsi che gli animali usano per migrare. Le migrazioni sono ancora troppo poco studiate e mappate. Ma alcuni recenti studi dimostrano che le aree protette esistenti allo stato attuale sono troppo piccole e non consentono una protezione ad ampio raggio.
Per affrontare l’urgente bisogno di mappare e studiare al meglio le varie migrazioni di ungulati, è nato un atlante della migrazione globale che aiuterà a guidare gli sforzi di conservazione. Un team internazionale – composto da decine di scienziati e conservazionisti – si è unito per formare la Global Initiative on Ungulate Migration (Gium). Questi esperti lavorano in collaborazione con la Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie di animali selvatici (Cms), un trattato delle Nazioni Unite. Lanciata insieme a “Mapping Out a Future for Ungulate Migrations”, pubblicato a maggio sulla rivista Science, la nuova iniziativa globale mapperà sia le migrazioni perdute che quelle esistenti utilizzando la più recente tecnologia di localizzazione Gps, software di mappatura e piattaforme di condivisione dei dati, documentando anche la conoscenza locale, indigena e storica dei movimenti degli animali. Le mappe dettagliate dei movimenti stagionali delle mandrie in tutto il mondo aiuteranno a identificare le minacce attuali e future alle migrazioni e a promuovere misure di conservazione per sostenerle. “Le migrazioni degli ungulati sono a rischio in tutto il mondo perché i grandi paesaggi di cui hanno bisogno sono sempre più occupati e frammentati dall’essere umano”, ha detto il dottor Robin Naidoo, capo scienziato per la conservazione della fauna selvatica al WWF-USA e co-autore del documento Science Gium. “Mappare dove, quando e come le migrazioni continuano a persistere è un primo passo fondamentale per conservarle nel futuro”.
Nella grande area del fiume Mekong (Sudest asiatico) vivono circa 350 specie di animali minacciate, 850 specie di pesci e circa 2’000 elefanti allo stato selvatico. Questa regione ospita tra i più straordinari ungulati al mondo. Esistono cervi che hanno le dimensioni di un cane, altre specie hanno delle livree incredibili e alcune sono così rare da sembrare quasi presenze mitologiche.
Certe sono ormai estinte, come il kouprey e il cervo di Schomburgk, mentre il cervo porcino, il banteng, il cervo di Eld e il saola sono sull’orlo dell’estinzione.
Alcune tra queste specie sono state scoperte solo negli ultimi 30 anni e sono considerate già a rischio. Nel caso del saola, per esempio, non è stato ancora possibile osservarlo in natura e si pensa che non ne siano rimasti più di un centinaio in libertà. Per questo motivo il WWF ha dato il via ad un maxiprogetto per far rimuovere oltre 10mila trappole ogni anno.
Poi c’è il Muntjac, una specie di cervo ritenuta la più piccola del mondo: è stato avvistato circa venti anni fa nel Myanmar. Purtroppo, si sa poco o niente di questo animale. Del Banteng invece si sa che il numero è sceso dell’80% negli ultimi 60 anni e la situazione si fa sempre più critica. Che siano grandi o piccoli, senza ungulati verrebbe a mancare una fondamentale fonte di cibo per predatori come avvoltoi e tigri, la cui esistenza viene già messa a dura prova dai bracconieri.
Il WWF lavora in varie aree in tutto il mondo per migliorare la capacità della fauna selvatica di muoversi liberamente attraverso i paesaggi e quindi conservare importanti migrazioni, tra cui il Chaco-Pantanal (Paraguay, Bolivia, Brasile, Argentina), l’India centrale, il Kenya meridionale e la Tanzania settentrionale, e la Kavango-Zambezi Transfrontier Conservation Area (Kaza) in Africa meridionale, la più grande area di conservazione transfrontaliera terrestre del mondo. Le aree connesse sono necessarie per permettere alle popolazioni di animali selvatici di crescere ed espandersi, ma le crescenti costruzioni degli esseri umani e le barriere create dall’uomo stanno limitando la connettività per molte specie africane. Il WWF sta lavorando per capire meglio i movimenti degli animali e i modelli di migrazione di zebre, elefanti e altri animali selvatici nell’area Kaza. Un modo è quello di monitorare e valutare i movimenti delle diverse specie attraverso il collare satellitare e le indagini aeree. Nel 2014, grazie al sistema del collare satellitare, il WWF e i suoi partner hanno scoperto la più lunga migrazione di mammiferi terrestri: è quella delle zebre. La zebra dell’Africa meridionale, infatti, parte dal fiume Chobe in Namibia e raggiunge il parco nazionale Nxai Pan in Botswana. Complessivamente, tra andata e ritorno, le zebre percorrono 500 chilometri. I risultati hanno sottolineato l’importanza della conservazione attraverso i confini nazionali e la necessità di preservare questo importante corridoio della fauna selvatica. Il nuovo atlante globale delle migrazioni sosterrà gli sforzi di conservazione per salvare le migrazioni in tutto il mondo, pure nella Kaza, aiutando anche a conservare i diversi benefici che forniscono ad altre specie e alle persone.