Quali specie non vivono più in Svizzera!
Visitando il Museo cantonale di storia naturale una delle vetrine che colpisce il visitatore è quella dedicata agli animali scomparsi dalla nostra regione. Gli ultimi orsi (Ursus arctos) furono eliminati dal territorio ticinese alla fine dell’800. Quando gli occhi vitrei del plantigrado impagliato (poco più che un cucciolo) incrociano i nostri, sembrano comunicare un forte senso di tristezza e rassegnazione. E tutto per un incontro, quello avuto con l’uomo, finito nel peggiore dei modi. Quell’orso fu rincorso per giorni e alla fine intrappolato, per poi essere colpito più volte con il fucile: “In seguito, gli conficcarono in gola un lungo bastone e di sera fu appeso ad un palo per ore ancora vivo (dato che respirava) nel paese di Scareglia” (Campana,1963). Così morì l’ultimo superstite ticinese di una specie che un tempo dominava fiera l’intero arco alpino. Nella vetrina degli animali scomparsi trovano posto anche la lontra (Lutra lutra), regina dei fiumi; l’elegante gallo cedrone (Tetrao urogallus), che con la sua nobile stazza non riuscì a sottrarsi alla persecuzione venatoria; l’assiolo (Otus scops), un piccolo gufo simpatico e vittima di un progresso che aveva fatto scomparire i suoi habitat e le sue prede e il maestoso gipeto barbuto (Gypaetus barbatus) catturato per l’ultima volta in Valle Maggia nel 1869 e reintrodotto solo di recente. Poi, per fortuna, arrivò il progetto di ripopolamento proposto dal WWF e ad oggi possiamo confermare che il gipeto è tornato sulle Alpi svizzere. Tra gli organismi che dovrebbero apparire nella rubrica di Chi l’ha visto? si annovera inoltre una lunga lista di altri animali più piccoli, spesso poco appariscenti e apparentemente insignificanti, come molluschi, insetti, ragni e crostacei. Gli esperti stimano che gli animali estinti negli ultimi 100 anni in Svizzera rappresentino oltre il 10% della fauna autoctona censita un tempo. Un esercito muto di vittime del progresso, dell’egocentrismo umano, di una male gestione delle risorse naturali e del cambiamento climatico in atto. Un esercito che rappresenta pur sempre la ricchezza territoriale di un paesaggio tanto straordinario quanto ricco in biodiversità, come quello dentro il quale viviamo tutti noi. Per questo motivo ci si sta muovendo per fermare questa moria: il WWF, ma anche tante altre organizzazioni ambientaliste presenti sul territorio, anno dopo anno, mettono in piedi progetti a sostegno del territorio. Non è ancora troppo tardi, ma dobbiamo muoverci adesso e frenare i cambiamenti climatici, ma anche la perdita di suolo e la distruzione degli habitat.
Lo so, gli insetti ci piacciono poco. Anzi li troviamo spesso fastidiosi, nocivi, ripugnanti eppure fanno parte del nostro ecosistema (3/4 delle specie animali censite al mondo sono costituiti da insetti) e come tali sono importanti. Prendiamo le api che impollinano ogni giorno le piante a fiore permettendo loro di riprodursi e trasformare i fiori in frutti. La nostra stessa alimentazione dipende dagli insetti impollinatori per un’enorme quantità di prodotti, anche quelli che non hanno una stretta relazione con le piante a fiore. Si pensi che per produrre 1 kg di miele un’arnia, composta da 30’000 api, visita poco meno di 3 milioni di fiori, l’equivalente di 225’000 fiori al giorno. L’ape domestica è solo una rappresentante di questo esercito d’instancabili lavoratrici, che in Svizzera si stima sia composto da circa 580 specie di api selvatiche, di cui circa 340 presenti in Ticino (Apicoltura.ch, 2020). Il numero di api selvatiche sembra stia progressivamente diminuendo e al momento manca all’appello circa il 10% delle specie segnalate ancora alcuni anni fa.
Un dato che deve far riflettere perché la scomparsa degli insetti è considerata l’indicatore di un malessere che potrebbe sfociare a medio/ lungo termine in una crisi ambientale improvvisa e irreversibile. Non solo: l’anno scorso è stato lanciato un allarme mondiale. Si pensa, infatti, che per fine secolo avremo perso il 40% degli insetti. Un dato che comporterebbe un collasso degli ecosistemi mondiali. Li stiamo perdendo a una velocità di otto volte superiore rispetto alle altre specie.
Molti animali diffusi sul nostro territorio sono scomparsi a causa di tutta una serie di eventi ricollegabili, direttamente o indirettamente, alle attività umane, mentre i grandi predatori (lupi, orsi, aquile, linci, lontre) vennero sterminati perché ritenuti nocivi. Un esempio è dato dalla lontra, un tempo ben rappresentata su tutto il territorio cantonale, come riportato nello scritto di Schinz del 1787 dove si legge: “Non è facile trovare in un paese tante lontre quante ce ne sono qui [in Ticino]”. Cacciata per la pelliccia e per la sua carne, la sua cattura era pure incentivata con premi in denaro in quanto considerata appunto un animale nocivo. Il declino di questa specie è proseguito anche negli ultimi decenni con l’arginatura dei fiumi e l’inquinamento. Dal 1967, data delle ultime osservazioni in Ticino, ci sono state solo segnalazioni sporadiche di lontre. Un altro esempio di estinzione, causato, in questo caso, dall’impatto delle attività umane sul territorio, è quello degli anfibi, ovvero rane, rospi (come il rospo smeraldino, censito per l’ultima volta negli anni ‘90), raganelle, salamandre e tritoni. Questi animali necessitano di stagni e pozze per riprodursi, e soffrono della perdita di habitat e della frammentazione del territorio. Si pensi che negli ultimi 200 anni in Svizzera è stato distrutto oltre il 90% delle zone umide (fonte: Ufficio federale dell’ambiente); gli ambienti restanti sono stati inquinati, oppure isolati da infrastrutture e zone urbane. Secondo il Living Planet Report del WWF, il 60% delle specie indigene è minacciato di estinzione, mentre il Centro di Coordinamento per la Protezione degli Anfibi e dei Rettili in Svizzera (KARCH) segnala che per certe specie, oltre la metà delle popolazioni sono scomparse negli ultimi 30 anni.
Il diorama del Museo di storia naturale sugli animali scomparsi nasconde una verità che dovrebbe darci speranza. Infatti, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato in positivo per quanto concerne l’estinzione di specie indigene, falciate dal territorio per mano dell’uomo. Per alcune di esse c’è un ritorno. Segno anche che siamo diventati più rispettosi delle leggi della natura, o più semplicemente consapevoli che un ambiente sano offre la giusta collocazione a ogni forma di vita. La legislazione, gli studi scientifici, la stessa popolazione si sono ultimamente prodigata per favorire un ritorno naturale di animali estinti sul nostro territorio, là dove possibile. Si pensi all’orso bruno che, pur faticando, sta riconquistando aree lasciate libere per oltre un secolo. Alcune specie sono anche state portate dall’uomo come lo stambecco, il re delle creste, reintrodotto nel Parco nazionale svizzero esattamente un secolo fa, o ancora il gipeto barbuto, che si è ripreso gran parte dell’Arco alpino finendo ben oltre i confini del Canton Grigioni, dove fu rilasciata una prima coppia alla fine degli anni ‘80. Con il sostegno del WWF, nell’arco di 30 anni la Fondazione Pro Gipeto e i suoi collaboratori sono riusciti a riportare questo maestoso uccello nelle Alpi svizzere. Nel 2015 erano circa 212 i gipeti che popolavano il territorio alpino fra l’Austria, la Svizzera, l’Italia e la Francia. Altri ancora, come l’assiolo, stanno ricolonizzando da sud quel che resta della campagna collinare ticinese. Timidi ma significativi segnali del riappropriarsi di un territorio che, per diritto, appartiene anche a questi animali.