Necessaria per salvaguardare le nostre risorse vitali o estrema e controproducente? Le risposte alle principali domande sull’iniziativa biodiversità
Sull’iniziativa popolare ‘Per il futuro della nostra natura e del nostro paesaggio’, detta Iniziativa biodiversità. Chiede risorse e terreni sufficienti per proteggere meglio la biodiversità, anche al di fuori degli oggetti già tutelati (vedi infografica). La proposta di modifica costituzionale, depositata nel settembre 2020, è promossa da un’ampia alleanza formata da sette associazioni (tra le quali Pro Natura, Heimatschutz Svizzera, BirdLife Svizzera e Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio) e oltre 400 tra organizzazioni nazionali e cantonali attive nella difesa dell’ambiente e del paesaggio. A loro avviso, la Svizzera sta facendo troppo poco per proteggere il proprio patrimonio naturale, che è “la base della vita”.
Perché il parlamento ha scartato il controprogetto indiretto concepito dal Consiglio federale (proponeva di proteggere il 17% del territorio, rispetto all’attuale 13,4%), senza elaborarne uno alternativo. Il Consiglio nazionale voleva farlo, ma era contrario all’idea di iscrivere nella legge una determinata percentuale di territorio da proteggere. Alla fine, lo scorso dicembre, è stato il Consiglio degli Stati ad affossare definitivamente il controprogetto. Se non lo avesse fatto, adesso non andremmo a votare: i promotori dell’iniziativa erano infatti disposti a ritirare il loro testo in tal caso, giacché le misure previste a livello di legge sarebbero entrate in vigore subito. Per contro, ci vorrà parecchio tempo per attuare un’eventuale modifica costituzionale che richiede la doppia maggioranza di popolo e Cantoni.
L’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) la definisce come “la diversità biologica a livello di ecosistemi (spazi vitali), di specie (animali, piante, funghi, microrganismi) e di geni, ossia la specificità degli individui di una specie”. La perdita di biodiversità mette a rischio le basi esistenziali dell’essere umano e la produttività economica di un Paese, scrive l’Ufam.
Non così male, affermano i contrari all’iniziativa. “Quando vado all’alpe non vedo meno farfalle di prima”; “Adesso abbiamo 960 cicogne, che erano scomparse”: così il ministro dell’Ambiente Albert Rösti (Udc). La biodiversità è “gravemente minacciata” e “tende ad aggravarsi”, ammoniscono invece i promotori. L’Ufam dal canto suo definisce “insoddisfacente” la situazione: “Quasi la metà degli spazi vitali e un terzo delle specie sono a rischio”, si legge sul suo sito internet. Ancora: “La qualità e l’interconnessione degli spazi vitali non sono sufficienti a mantenere la biodiversità del nostro Paese a lungo termine”; “Gran parte delle perdite di habitat e specie è stata registrata già nel XX secolo [in particolare a seguito delle grandi correzioni fluviali e dell’industrializzazione dell’agricoltura, ndr], ma i deficit di qualità continuano a progredire silenziosamente”. La situazione è problematica soprattutto nell’Altopiano.
Sul tema quest’estate hanno polemizzato. Non c’è alcuna crisi della biodiversità in Svizzera, ha sostenuto – sulla base di uno studio commissionatogli dall’Unione svizzera dei contadini (Usc), risolutamente contraria all’iniziativa – il biologo Marcel Züger. “Fino all’inizio del millennio abbiamo assistito a un continuo declino della biodiversità, almeno in alcuni habitat. Da allora, però, la situazione è migliorata. Certo, ci sono ancora aree problematiche, ma il bilancio complessivo è positivo” nella misura in cui “le perdite sono compensate da aumenti altrettanto elevati di altre specie a rischio”, ha dichiarato il grigionese (con studi al Politecnico federale di Zurigo) in un’intervista alla ‘Nzz’, citando in particolare dati sulla diversità degli uccelli e delle libellule e affermando di ritenere del tutto fuori luogo gli allarmi riguardo alla mortalità degli insetti.
Le sue conclusioni sono state criticate da numerosi esperti: a loro avviso non si può parlare di una generale inversione di tendenza, ma al massimo di puntuali e circoscritti sviluppi positivi. Secondo l’Accademia svizzera di scienze naturali (Scnat), “lo stato e l’evoluzione della biodiversità in Svizzera restano preoccupanti” e la tendenza rimane “negativa”. Gli sforzi dei vari attori per proteggere e preservare la biodiversità “non sono sufficienti”. Esiste un consenso scientifico al riguardo, ha detto al ‘Tages-Anzeiger’ Loïc Pellissier, specialista di ecosistemi ed evoluzione del paesaggio e professore al Politecnico di Zurigo. In una dichiarazione pubblica (che riflette il “consenso scientifico”), oltre cento ricercatrici e ricercatori specializzati si sono detti preoccupati: a loro avviso servono misure “urgenti”. Gli esperti riconoscono l’esistenza di “successi puntuali”. Tuttavia, le misure prese finora “non sono state sufficienti per realizzare la necessaria inversione di tendenza”.
Oltre alla vasta alleanza che l’ha promossa, l’iniziativa è sostenuta da Verdi, Ps e Partito verde liberale. Anche singoli esponenti di Centro (le Donne del partito, ad esempio), Plr e Partito evangelico sono schierati per il sì, così come Bio Suisse e l’Associazione dei piccoli contadini. In prima fila tra i contrari c’è l’Usc (che non lesina mezzi: il budget è di 2,1 milioni di franchi), com’era stato il caso nel 2021 in occasione delle votazioni (vinte) sulle iniziative per vietare o ridurre l’uso dei pesticidi. Anche l’Udc, il Plr e il Centro raccomandano di votare no; lo stesso fanno numerose organizzazioni economiche (tra le quali l’Unione svizzera delle arti e mestieri e Swissmem).
Perché la biodiversità in Svizzera versa in “pessime condizioni”. A causa di una molteplicità di fenomeni (cementificazione, dispersione degli insediamenti, canalizzazione dei corsi d’acqua, agricoltura intensiva, neofite invasive, cambiamenti climatici ecc.), circa la metà degli habitat naturali è minacciata e più di un terzo delle nostre specie animali e vegetali è in pericolo o già estinto.
La biodiversità è fondamentale non solo per sopravvivere e per la qualità della vita: è anche un fattore cruciale per l’agricoltura, il turismo e altre attività economiche. L’iniziativa inoltre non pregiudica la transizione energetica: impianti per la produzione di energia rinnovabile potrebbero essere realizzati anche nelle aree protette, in presenza di interessi prevalenti di importanza nazionale.
Le autorità tergiversano, o addirittura fanno passi indietro: il Consiglio federale ha ridotto di 276 milioni nei prossimi tre anni il credito d’impegno destinato alla natura e al paesaggio; e il parlamento in giugno ha respinto l’obbligo – previsto dal governo – di riservare il 3,5% di superficie dei terreni coltivabili alla promozione della biodiversità. Le misure adottate in agricoltura, nelle zone urbanizzate e nelle foreste non sono sufficienti: serve un cambio di passo. Se si andasse avanti così, l’estinzione delle specie costerebbe 14-16 miliardi di franchi l’anno in Svizzera dal 2050.
Paludi e boschi sani immagazzinano CO2, alberi e corsi d’acqua rinfrescano l’atmosfera: promuovere la biodiversità significa dunque anche lottare contro gli effetti del cambiamento climatico. Inoltre, corsi d’acqua semi-naturali e boschi sani proteggono gli abitati da inondazioni, valanghe e colate detritiche.
Non basta mettere porzioni pur estese del territorio sotto protezione, perché queste aree col passare del tempo perdono qualità: ciò succede a causa, tra le altre cose, di un’interconnessione insufficiente, degli effetti dei cambiamenti climatici e della mancanza di fondi per la manutenzione.
Circa un quarto del territorio già figura in un inventario per la natura o il paesaggio, mentre in quello degli insediamenti svizzeri da proteggere d’importanza nazionale (Isos) è registrato un quinto dei siti caratteristici. Ciononostante, i promotori vorrebbero che il 30% della superficie del Paese (quota non precisata nel testo dell’iniziativa, ndr) fosse a disposizione per la biodiversità.
I costi aggiuntivi (da 375 a 443 milioni di franchi l’anno per le casse di Confederazione e Cantoni) sarebbero eccessivi.
L’iniziativa è “estrema”: troppo rigida, si spinge troppo lontano. Le autorità, in particolare i Cantoni e i Comuni, vedrebbero restringersi il loro margine di manovra: regolamentazioni più severe frenerebbero ad esempio lo sviluppo urbano e metterebbero a rischio importanti infrastrutture come linee elettriche e ferroviarie; anche lo sviluppo delle energie rinnovabili e i settori forestale e immobiliare subirebbero restrizioni eccessive.
Si indebolirebbe la produzione agricola indigena, a discapito della sicurezza alimentare. Dovremmo quindi importare più beni alimentari, e ciò significa semplicemente ‘esportare’ il problema della biodiversità. Per giunta i contadini (che alla sua promozione riservano il 19% della superficie agricola totale) già fanno parecchio, in molti casi più di quanto la legge prescriva (7%) per poter beneficiare dei pagamenti diretti. Senza contare che nelle zone di estivazione ci sono ben 220mila ettari di superfici inerbite ricche di specie.
Il primo sondaggio realizzato dall’istituto gfs.bern per conto della Ssr indica che a inizio agosto il 51% avrebbe votato sì o tendenzialmente sì (margine d’errore: +/- 2,8%). I contrari sarebbero stati il 43%. Pochi gli indecisi (6%). Lo stesso risultato (51% di favorevoli, 42% di contrari, 7% di indecisi) emerge dal primo sondaggio Tamedia/‘20 Minuten’. Poiché il sostegno alle iniziative in genere diminuisce nel tempo, difficilmente il 22 settembre uscirà un sì dalle urne. Anche perché serve la maggioranza dei Cantoni, un ostacolo che – nonostante il ragguardevole budget a disposizione (3,3 milioni di franchi, oltre la metà dei quali provenienti da Pro Natura) – dovrebbe rivelarsi invalicabile per i fautori dell’iniziativa, il cui messaggio stenta a passare nelle zone rurali.