I movimenti perdono slancio, aumenta l’appeal delle forme di partecipazione ‘tradizionali’. La politologa Fanie Wirth sul monitor politico easyvote 2022
Gli scioperi e le proteste per il clima, lo sciopero delle donne, i ‘movimenti’ MeToo e Black Lives Matter, il coronavirus: gli ultimi sono stati anni di intensa politicizzazione per molti giovani e giovani adulti. Anche in Svizzera. Dove al forte coinvolgimento sembra però adesso far seguito un relativo disimpegno. O quantomeno uno spostamento verso forme di partecipazione e istanze tradizionali, come i partiti giovanili. Un riorientamento rilevato da un sondaggio commissionato da easyvote all’istituto gfs.bern.
Nella fascia d’età tra i 18 e i 25 anni «la partecipazione formale alla politica cresce», dice a ‘laRegione’ la politologa Fanie Wirth, direttrice della piattaforma nata per incoraggiare i giovani a interessarsi alla politica. Dunque: se da un lato ‘i movimenti di giovani perdono popolarità’ (questo il titolo del ‘Monitor politico easyvote 2022’, pubblicato in questi giorni), dall’altro non si può affermare che in Svizzera i giovani siano meno interessati alla politica rispetto a qualche anno fa. Anzi.
Qualche dato. Il 62% dei 1’500 interpellati fra i 15 e i 25 anni ritiene che la politica debba prendere sul serio i movimenti giovanili. Soltanto un anno fa la quota era del 72%. In sensibile calo – dal 52% del 2019 al 36% attuale – pure il numero di chi pensa che i movimenti giovanili siano il solo mezzo per ottenere un cambio di mentalità.
Come si spiega questa perdita di appeal? «Ci sono tre motivi principali», risponde Wirth. «Il primo è che i movimenti giovanili vivono di manifestazioni, di incontri: durante la pandemia, queste occasioni sono state molto limitate. In secondo luogo, in una parte dei giovani si è fatta largo la frustrazione: perché non si sono sentiti ascoltati, perché le cose avanzavano troppo lentamente. Infine, la mobilitazione qualche frutto l’ha dato. Le questioni climatiche, ad esempio, oggi sono stabilmente sull’agenda politica. Se ne discute in Parlamento, si va a votare: questi temi non sono più un’esclusiva delle manifestazioni di piazza».
Il cambiamento climatico, appunto. È la tematica che più coinvolge i giovani (40%). Nel giro di dodici mesi ha superato il razzismo/discriminazione, così come la politica estera. Disoccupazione e previdenza vecchiaia non turbano invece i sonni: sono le preoccupazioni più lontane.
D’altro canto, spiega Wirth, «una parte crescente dei giovani interpellati si definisce attivo politicamente. Si tratta però di un interesse ‘parziale’, in particolare fra le ragazze». La loro attenzione è selettiva: «Si interessano soprattutto alle questioni che hanno un’influenza diretta sulla loro vita quotidiana. Durante la pandemia, ad esempio, molti giovani si sono informati sul coronavirus, ma anche sul clima, la parità di genere, la digitalizzazione». Un interesse mirato, e anche contingente. Il tasso di chi manifesta l’intenzione di impegnarsi politicamente in un futuro prossimo non oltrepassa il 40%. Il 28% scarta addirittura categoricamente questa possibilità, una percentuale raddoppiata nel corso degli ultimi cinque anni.
Il sondaggio rivela poi che «un numero sempre più importante di giovani adulti utilizza le vie istituzionali: votazioni, iniziative popolari o referendum, petizioni, elezioni», spiega ancora la direttrice di easyvote. L’86% di loro – un valore record da quando sette anni fa è stato effettuato il primo rilevamento – intende prendere parte alle prossime votazioni. Il 51% dichiara che probabilmente firmerà iniziative popolari, referendum o petizioni, mentre il 45% che parteciperà alle elezioni.
Anche i partiti giovanili riscuotono simpatia. Il numero dei loro membri cresce da anni in maniera marcata e pressoché costante. Una tendenza che non è prerogativa dei partiti di sinistra (Ps e Verdi), come si potrebbe desumere dalle tematiche che vanno per la maggiore (il clima, ad esempio) o dalle immagini di (per lo più giovani) manifestanti nelle strade. Un sondaggio dell’emissione ‘10 vor 10’ della Srf mostra come tutti i partiti giovanili abbiano registrato un incremento significativo di affiliati negli ultimi mesi: rispetto all’inizio dell’anno la Gioventù socialista conta 616 membri in più (per un totale di 4’650); i Giovani Verdi liberali ne hanno guadagnati 441 (3’301), i Giovani Verdi 330 (3’834), i Giovani del Centro 250 (3’450) i Giovani liberali-radicali 200 (4’650). Una crescita (non quantificata, in questo caso) che si riscontra anche fra i Giovani dell’Udc (7’150).
Il maggior interesse per la politica istituzionale si riflette anche in una certa maggior propensione a informarsi. A farlo è "una minoranza", anche se "crescente": «Un numero maggiore di giovani adulti consuma quotidianamente, spesso più volte al giorno, informazioni politiche, soprattutto online e sui social media. L’utilizzo di questi ultimi spiega almeno in parte perché certi movimenti come ‘Black Lives Matter’ o il movimento per il clima – sviluppatisi sui ‘social’ – abbiano trovato grande riscontro tra i giovani», osserva Fanie Wirth.
A livello di influenze esterne, è l’entourage di un giovane ad avere il ruolo più importante. In altre parole: la cosiddetta socializzazione politica passa anzitutto attraverso i genitori e gli amici, assai meno attraverso figure politiche di riferimento. Dopo essere costantemente aumentata negli ultimi anni, l’importanza dell’educazione civica nelle scuole è attualmente al livello più basso dal 2017. Tuttavia, circa due terzi degli intervistati la considerano molto o abbastanza importante. Ormai, quasi un allievo su due si sente molto o abbastanza preparato dalla scuola a partecipare a votazioni ed elezioni. Un terzo invece si sente piuttosto male o molto mal istruito, il che corrisponde a un calo di 10 punti percentuali rispetto a cinque anni fa.