Si tratta di uno dei più grandi casi di truffa mai arrivati al Tribunale Penale Federale. La donna aveva ottenuto prestiti sulla base di documenti fittizi
Una tedesca 71enne è stata condannata a 45 mesi di reclusione dalla Corte penale del Tribunale penale federale (TPF). La donna, ex direttrice della società commerciale lucernese Fera, era accusata di aver ottenuto prestiti dalle banche producendo documenti fittizi, architettando in questo modo una frode da centinaia di milioni di franchi.
Si tratta di uno dei più grandi casi di truffa in Svizzera mai arrivati sui banchi del TPF. L'udienza principale ha avuto luogo all'inizio di luglio, mentre per la sentenza si è dovuto attendere fino a stamane.
La donna, il cui avvocato ha già preannunciato un probabile ricorso presso la Corte d'appello dell'istanza con sede a Bellinzona, è stata giudicata colpevole di diversi reati: falsità in documenti multipla, truffa per mestiere e cattiva gestione. Dalla pena detentiva, la cui esecuzione spetta al canton Lucerna, saranno sottratti i 107 giorni di carcerazione preventiva e i 205 di misure sostitutive (obbligo di annuncio e deposito dei documenti d'identità).
Secondo il Ministero pubblico della Confederazione (MPC), tra il 2002 e il 2010, anno del fallimento dell'azienda, la cittadina tedesca ha falsificato innumerevoli atti mentre dirigeva la società commerciale Fera. I reati commessi prima del 31 agosto 2006 sono però ormai caduti in prescrizione. Il tribunale ha comunque stimato l'ammontare del raggiro in oltre 300 milioni di franchi.
I documenti contraffatti sono stati utilizzati per certificare fantomatiche transazioni commerciali alle banche e incassare crediti per diverse centinaia di milioni di franchi. In poche parole con essi veniva certificata la vendita di macchine che de facto non era mai avvenuta.
L'accusa ha parlato della costruzione di una "rete di bugie" per convincere la comunità finanziaria della realtà delle transazioni. In verità, il numero di affari che andavano in porto era molto limitato.
Tra gli istituti finanziari interessati dalla vicenda, il più colpito è l'ex Skandifinanz Bank (ora Skandifinanz), che reclamava in totale dall'inizio della vicenda 134 milioni di euro, a cui vanno dedotti circa 10 milioni di franchi già recuperati in sede di dibattimento davanti al tribunale distrettuale di Zurigo. I crediti di altre tre banche ammontano a più di 22 milioni di franchi.
Anche la massa fallimentare di Fera AG e la sua società madre Blue Steel Holding (BSH) - controllata dal marito dell'imputata, che invece è stato assolto - hanno presentato richieste civili rispettivamente per 206 milioni di franchi e 123 milioni.
Nella lettura della sentenza, il presidente della corte ha parlato di una "colpevolezza molto grave", definendo la donna spinta dall'avidità di guadagno e da motivi egoistici per migliorare il suo status sociale. Ciò, a suo dire, è stato dimostrato anche durante il processo, nel quale l'interessata ha difeso costosi acquisti di vestiti da parte sua descrivendoli come "ragionevoli".
Tra il 2002 e il 2009 l'imputata ha speso circa un milione di franchi in un'unica boutique di Francoforte. Più o meno nello stesso periodo sono stati effettuati prelievi di contanti per 9,4 milioni.
I tre giudici hanno seguito in gran parte le argomentazioni della procura e respinto quelle della difesa, concedendo però attenuanti legate al fatto che è passato molto tempo dagli illeciti e alla durata estremamente lunga del procedimento.
(Causa SK.2020.57)