CICLISMO

Carapaz, il colpo da maestro dell'uomo dei vulcani

L'ecuadoriano ha vinto il titolo olimpico alle pendici del monte Fuji, davanti al belga Van Aert e allo sloveno Pogacar

25 luglio 2021
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Stavolta, la montagna ha partorito un dragone. Ai piedi del monte Fuji il primo podio olimpico del ciclismo ha premiato l'ecuadoriano Richard Carapaz, il belga Wout van Aert e lo sloveno Tadej Pogacar. Sarà un caso, ma questi stessi tre atleti sei giorni prima erano stati festeggiati sullo sfondo dell'Arco di Trionfo di Parigi: Pogacar maglia gialla e vincitore del Tour de France, Carapaz terzo classificato e Van Aert trionfatore dell'ultima frazione sui Campi Elisi. La Grande Boucle, insomma, sarà pure una gran faticaccia, ma ti dà una gamba come nessun altra corsa. Ad approfittarne è stato l'ecuadoriano vincitore nel 2019 del Giro d'Italia. È riuscito a sorprendere tutti con un colpo da maestro in una corsa che equivaleva, con i suoi 234 km e quasi 5'000 metri di dislivello, a una tappa di alta montagna di Tour, Giro o Vuelta. Il 28.enne di El Carmelo ha tagliato il traguardo in solitaria, con più di un minuto di vantaggio su un gruppetto regolato allo sprint da Van Aert davanti a Pogacar. Nessuno svizzero è stato in grado di inserirsi nella lotta per la vittoria. Il migliore del quartetto elvetico è stato Marc Hirschi con il 25º posto finale a oltre 6’ dal vincitore.

Ma torniamo a Carapaz, da sabato ufficialmente eroe nazionale ecuadoriano... «È la seconda medaglia d'oro nella storia olimpica del mio paese – ha commentato il centroamericano –. La prima risale a un quarto di secolo fa, ad Atlanta 1996, con il marciatore Jefferson Perez. Anche per questo motivo, si tratta di qualcosa di speciale. La corsa è stata molto dura e ho dovuto giocare bene di tattica, in quanto, non avendo a disposizione una squadra, è stato necessario attendere il momento giusto per muovermi». E il momento giusto è giunto a 25 km dall'arrivo.

In una corsa resa molto dura dal gran caldo, oltre che dalle difficoltà altimetriche, la battaglia è esplosa sul Mikuni Pass, la penultima asperità di giornata, di gran lunga la più impegnativa (6,5 km al 10,4% con punte al 22%). Appena la strada si è alzata in modo importante sotto i pedali dei corridori, Pogacar ha piazzato l'attacco che ha fatto esplodere il gruppo. Dapprima se n'è andato in compagnia dello statunitense McNulty e del canadese Woods, ma poco prima dello scollinamento sono rientrati anche Van Aert, Bettiol, Carapaz, Schachmann e Kwiatkowski (tra gli altri).

A 25 km dall'arrivo di un percorso che pure nei chilometri conclusivi presentava pochissima pianura e un continuo saliscendi, Carapaz è stato l'unico in grado di intuire la pericolosità dell'attacco di McNulty. I due hanno immediatamente trovato un buon accordo che ha portato il vantaggio a superare i 40”, anche perché nel gruppo dei migliori nessuno voleva compiere lo forzo di andare a chiudere che avrebbe servito su un piatto d'argento la vittoria a qualche rivale. A in certo punto, però, Van Aert – probabilmente il più forte di giornata – si è incaricato di fare il ritmo. Con lunghissime trenate (nessuno gli ha dato per davvero il cambio) ha ridotto lo svantaggio a 12”, ma anche per lui le energie sono venute meno e, vistosi sfuggire l'oro, ha iniziato a pensare all'argento. Così, Carapaz e NcNulty sono giunti insieme all'interno del circuito automobilistico del Fuji fino a 6 km dall'arrivo, quando l'ecuadoriano ha piazzato la botta vincente, scattando in faccia a uno statunitense ormai al lumicino delle forze, per andare a conquistare una vittoria che gli ritaglia un posto d'onore nel pantheon degli eroi nazionali dell'Ecuador.

Carapaz è così diventato l'uomo dei vulcani, aggiungendo il monte Fuji del Giappone al Chiles di casa sua (4'723 metri), dove è solito allenarsi lungo una salita di 14 km in sterrato.

La Nazionale svizzera ha raccolto poco.  Anzi, si è sbriciolata proprio quando i giochi hanno iniziato a farsi interessanti, vale a dire nella salita del Mikuni Pass. «Faceva un gran caldo, soltanto i più forti sono riusciti a mettersi in evidenza», ha commentato Marc Hirschi, il numero uno della selezione di Swiss Cycling. «In una corsa come questa – ha aggiunto Stefan Küng – non ti puoi nascondere: se non hai le gambe, non vai da nessuna parte».