Il polacco Witold Banka parla di 'doping accademico' e invita Nfl, Nba, Nhl e Mlb a fare di più. 'Lavoriamo insieme e focalizziamoci su questa battaglia'
Non le manda certo a dire, Witold Banka, il presidente polacco dell'Ama, l'agenzia mondiale antidoping. Che in conferenza stampa a Tokyo, nel giorno dell'apertura ufficiale delle trentaduesime olimpiadi, esorta il mondo dello sport a stelle e strisce ad aderire alle regole internazionali in materia di doping. In realtà, le relazioni tra l'Ama e le autorità statunitensi sono tese da anni, con l'Agenzia antidoping statunitense che chiede da tempo una riforma dell'organismo di controllo globale sul doping, mentre i funzionari americani mettono in dubbio l'indipendenza dell'Agenzia a causa del fatto che molti suoi membri sono delegati di federazioni sportive e membri del Cio.
L'ultima tensione risale all'altro ieri, quando il coordinatore nordamericano per il doping nello sport, Richard Baum, ha dichiarato a una commissione del Senato statunitense che gli Usa (i quali, tra l'altro, sono i maggiori finanziatori dell'Ama) hanno trattenuto 1,3 milioni di dollari dei 2,9 milioni di quote annuali destinate all'Agenzia.
Oggi, invece, Banka, ha detto che vorrebbe vedere gli Stati Uniti fare pulizia nel loro giardino, per garantire che il maggior numero possibile dei suoi atleti possa competere secondo il Codice mondiale antidoping. In effetti, le principali leghe professionistiche del Paese, ovvero quelle di american football, baseball, basket e hockey non hanno mai aderito al Codice «È ora che si faccia qualcosa, e sarò più che felice di lavorare con loro perché questa è la debolezza del sistema statunitense» ha detto Banka, parlando di «doping accademico». Per il presidente dell'Ama, bisognerebbe sostenersi a vicenda, invece di sfidarsi. «Il mio messaggio è questo: lavoriamo insieme e concentriamo la nostra attenzione sulla lotta al doping».
Sempre a proposito di doping, ma sul fronte dei controllo, il direttore dell'International Testing Agency, Benjamin Cohen, ha affrontato la questione relativa ai controlli per gli atleti russi, che a seguito dell'ormai famigerata squalifica per doping di Stato fino al dicembre del 2022 anche a Tokyo dovranno gareggiare come "indipendenti", cioè in rappresentanza del Comitato olimpico russo anziché della loro stessa nazione, quindi senza bandiera e inno: «Non nascondo che gli atleti russi sono in cima alle valutazioni del rischio basate sugli anni e su problemi precedenti – ha detto Cohen –. Tuttavia non vengono trattati diversamente dagli altri atleti». Anzi: «Durante i programmi delle nostre federazioni abbiamo testato molti atleti russi, che effettivamente vengono testati molto più di quelli di altri Paesi».