Potranno esprimersi con la stampa, nelle riunioni di squadra, sui social media, ma non durante le gare, sui podi o al Villaggio
Il Comitato internazionale olimpico (Cio) ha cercato di adattare i Giochi ai tempi in cui viviamo, a tre giorni prima dell'apertura di Tokyo 2020 (23 luglio-8 agosto): ha aperto la porta all'attivismo politico tra gli atleti.
Riuniti a porte chiuse in un palazzo di Tokyo per la 138ª sessione, i membri del Cio, dopo aver accettato all'unanimità l'inclusione dello sci alpinismo nel programma delle Olimpiadi 2026 di Milano, hanno convalidato l'estensione della libertà di espressione degli sportivi, prevista dal Consiglio esecutivo all'inizio di luglio.
Quella dell'attivismo politico degli atleti è una questione cruciale, alla luce del movimento "Black Lives Matter" e dei dibattiti che hanno avuto luogo durante il recente Europeo di calcio. I partecipanti ai Giochi avranno la possibilità di esprimersi su questioni politiche o sociali quando parlano ai media, alle riunioni di squadra, sui social network e anche poco prima dell'inizio delle loro competizioni.
In precedenza, l'articolo 50 della Carta olimpica vietava qualsiasi “dimostrazione o propaganda politica”, ed era stato utilizzato per punire i velocisti americani Tommie Smith e John Carlos, quando nel 1968 a Città del Messico, sul podio dei 200 metri, avevano accolto l'inno statunitense a testa china e con il pugno guantato.
Ma l'intransigenza del Cio è sembrata inopportuna in un momento in cui molti sportivi stanno sostenendo la lotta contro il razzismo, in particolare negli Stati Uniti, dove nel basket e nel football è diventato prassi comune il mettere ginocchio a terra o alzare il pugno prima dell'inizio delle partite.
Tuttavia, il Cio ha deciso di continuare a vietare le manifestazioni durante gli eventi, sui podi, durante gli inni o nel Villaggio olimpico, così come non saranno ammesse esternazioni che “prendono di mira persone specifiche, paesi, organizzazioni e toccano la dignità delle persone”.
Resta da vedere se i partecipanti ai Giochi rispetteranno questi limiti. La martellista americana Gwen Berry, ad esempio, ha recentemente voltato le spalle alla bandiera americana durante l'inno degli Stati Uniti ai trials di Eugene, durante i quali si è qualificata per Tokyo.