Agli Australian Open, dove indossa ancora i panni del favorito, mira al centesimo torneo della carriera. Il 21esimo Slam, l’ennesimo trionfo sul Circuito Atp, a 18 anni dal primo
Quest’anno diventa maggiorenne: il primo torneo lo vinse infatti a Milano nel 2001. E se la maggiore età coincide con un ulteriore grado di crescita, per la stagione entrante aspettiamoci da Roger Federer l’ennesimo sussulto. Anzi, il centesimo successo.
Cento, la cifra tonda anelata, uno degli ultimi traguardi che gli restano da tagliare prima di, chissà, dare l’assalto al 109 di Jimmy Connors, altra epoca, altri tornei, alcuni dei quali poco più che esibizioni, altro che ‘1000’ o Slam. Non che di record non ne abbia, Federer; non che un torneo in più faccia poi questa gran differenza.
Ma andatelo a dire a chi nell’anno dei 36 – il 2017 – si era ripresentato in grande spolvero dopo lunga assenza, proprio perché intenzionato a vincere ancora. Operazione che gli è riuscita anche lo scorso anno, e le primavere erano diventate 37. Beh, che il tempo si sia fermato, per il Sommo, è ormai concetto sdoganato. Ma è altrettanto certo che è più vicina l’ora della pensione dorata che il primo trionfo, roba da inizio millennio, da scomodare il passato remoto.
Il suo sorriso alla Hopman Cup, unito alle prestazioni che ha fornito, sono indici di una condizione ottimale, di una serenità che è il miglior viatico in vista dell’appuntamento stagionale che lo ha visto trionfare nelle ultime due edizioni, gli Australian Open che sembrano essere diventati lo Slam preferito. O meglio, quello resta Wimbledon, ci mancherebbe, ma è a Melbourne che Roger di recente è riuscito a dare il meglio di sé. La sfilata divertente sulla passerella della Hopman gli ha permesso di affinare la preparazione e registrare i colpi, senza la pressione del grande evento. Ferma restando l’intenzione di portare a casa il trofeo, sia mai di perdere il vizio, giacché vincere non può che fare bene. Trofeo sotto braccio, è libero di approcciare il primo grande appuntamento dell’anno con lo stesso sorriso sulle labbra sfoggiato a Perth, l’oasi di felicità dove ha deciso di immergersi per fare il pieno di partite e, soprattutto, di fiducia.
A Melbourne Federer è inserito di diritto nello strettissimo novero dei favoriti. Vabbè, favorito lo è pressoché ovunque decida di giocare, d’accordo. Reso omaggio alla sua statura, va ricordato che è il campione in carica, e anche questo contribuisce a farne un candidato al titolo con tutti i crismi. Inoltre, gradisce la superficie, pure questo è fuor di dubbio. Agli Open che inaugurano la stagione 2019 degli Slam arriva riposato e tirato a lucido, e questo per un atleta che va per i 38 e da due o tre anni gestisce con oculatezza gli sforzi (e le trasferte, e le partecipazioni ai tornei) è essenziale.
Non è l’unico pretendente al trono, si diceva. Vero, ma scrutando all’orizzonte della concorrenza, non emerge la figura dell’ammazzatorneo designato d’ufficio. Djokovic forse? Potrebbe anche dimostrarsi tale: il suo 2018 ce lo ha restituito tosto e ben poco arrendevole, ma Parigi Bercy e Londra – intesa come sede delle Atp Finals vinte da Zverev – sono lì a ribadire che di tennisti invincibili non ce ne sono, in circolazione. Rafa Nadal lo è, ma solo a precise condizioni: che si giochi sulla terra, che il periodo sia quello tra marzo inoltrato e giugno. Il maiorchino da un paio di stagioni brucia risorse ed energie in quattro intensi mesi, lungo i quali spara tutte le cartucce che ha, risultando difficilmente avvicinabile. Alla sua tradizionale primavera di gloria paga però un dazio pesante, in termini atletici e di risultati. Qualche acciacco, qualche vittoria in meno in estate e autunno, e sguardo proiettato con largo anticipo all’anno successivo, quando tutti gli altri finalmente vedono nell’erba e poi nel cemento quegli spiragli che la polvere della terra rossa sollevata dalla potenza di Nadal nasconde loro, prima che la sua meravigliosa furia si plachi.
Con dubbi e colpi lotta da mesi anche Andy Murray, sul cui ritorno ai massimi livelli è ormai lecito nutrire qualche dubbio. Poi ci sono gli altri, campioni affermati e insidiosi (Anderson, Cilic, Thiem, Nishikori, Isner), ma difficilmente in grado di porsi come pretendenti al trono d’Australia, regno che sembra semmai riservato a uno di quella che non è più corretto chiamare ‘next gen’, in quanto generazione di campioncini ormai affermati. Non tutti ai massimi livelli, ma pur sempre membri del Top-20 mondiale (si pensi ai citati Zverev e Kachanov, ma anche a Coric, Tsitsipas, Medvedev, in rigido ordine di classifica Atp).
Su tutti questi talenti rampanti brilla la stella di Zverev: lui è già esploso, giusto riconoscerlo, pur arenandosi a quota 1000, ai tornei immediatamente sotto – per livello e montepremi – ai quattro Slam, ambito che al tedesco è sempre andato un po’ troppo largo. Storia di ieri, però, perché se ce n’è uno cui manca poco per competere anche lì, beh quello è proprio ‘Sascha’. Coric e Kachanov qualche vittima illustre l’hanno fatta. Puntare qualche dollaro sul loro successo non per forza comporta che si buttino via i soldi, ma in sede di pronostico il nome che vien naturale fare – una volta di più – è Roger Federer. Più di Nole, più di Rafa, più di tutti.
Non basta, però. Pur con tutti i presupposti a favore (e con essi anche gli dèi del tennis), un eventuale successo del basilese non può prescindere dalla spintarella della buona sorte. Costruire un trionfo della portata di uno Slam (nella fattispecie il 21esimo) presuppone sì una preparazione adeguata e colpi pienamente registrati (Roger è al di sopra di ogni sospetto, in questo campo), ma passa anche attraverso un sorteggio favorevole e uno svolgimento degli incontri regolare, senza strappi, senza maratone, e senza acciacchi. In questo ambito nessuno può dirsi al riparo. Nemmeno Federer, tanto più adesso che le primavere sono 37, compiute.
Vogliamo credere che la dea bendata abbia un’anima? Se ce l’ha, non può che darlo a Federer, un aiutino. Nessuno se lo è meritato più di lui. Per il solo fatto di essere ancora lì, a giocare per il titolo. E, più in esteso, per i motivi di cui sopra. E nessuno avrebbe da ridire, perché il prossimo successo farebbe la gioia trasversale di tutti gli appassionati. Altro non aspettano che celebrarlo per la centesima volta. Diciotto anni dopo la prima, quando qualcosa si poteva intuire, senza peraltro svelare quello che sarebbe successo dopo.
Non lo dice apertamente, ma sul circuito è un segreto di Pulcinella: Novak Djokovic punta ai 20 titoli Slam di Roger Federer. Questa oggi è la sua unica ragione di essere sui campi da tennis. Da lunedì a Melbourne punterà al 15° titolo maggiore, il 7° in Australia, per ridurre lo scarto con il basilese. Malgrado le recenti delusioni (non ha vinto uno solo degli ultimi tre tornei), le controprestazioni alle ultime due edizioni degli Australian Open (sconfitte con Denis Istomin al secondo turno e Hyeon Chung agli ottavi) e la formidabile impressione destata proprio da Federer alla Hopman Cup, il n. 1 Atp sarà l’uomo da battere al primo ‘major’ dell’anno. «A mio parere, resta davanti a tutti» dice Stan Wawrinka. Pur avendo mancato il 73° titolo, Djokovic assicura di non aver perso il suo tempo settimana scorsa a Doha. «Sono andato in Qatar con l’idea di disputare più partite possibili – spiega –. Ne ho giocate 7 in 5 giorni, per me è perfetto». Della sconfitta in semifinale con Roberto Bautista Agut non fa un dramma. «Ho pagato il prezzo degli sforzi in doppio, giocato con mio fratello Marko. Era la prima volta che passavamo un primo turno ed è normale che portassi il doppio sulle mie spalle».
A 31 anni e padre di due figli, è a un punto della carriera in cui intende che le priorità sono altre. «Spero di giocare una stagione piena, ma la mia famiglia oggi conta enormemente. Voglio vedere crescere i miei figli; dunque devo trovare un equilibrio. Perciò i miei obiettivi sono più definiti, fors’anche più ridotti. Ciò che conta, alla fine, sono i quattro Slam». Senza volersi soffermare sugli avversari, mette in guardia dal ‘sotterrare’ Nadal. «È tornato molte volte; Rafa ci sarà sempre. Io mi sforzo di fare tutto il possibile per presentarmi a Melbourne nelle condizioni migliori. Solo se ce la faccio, so che posso ancora vincere ovunque. Credo in me e nelle mie forze; però so pure di non essere il più forte e che, soprattutto, non ho un margine netto sugli avversari»