Le prime impressioni sulla Coppa d'Africa appena iniziata e un plauso al centrocampista tedesco, che non teme di chiamare le cose col proprio nome
Come faccio ormai da tempo immemorabile, nemmeno stavolta ho voluto mancare – dal divano naturalmente – all’appuntamento con le fasi iniziali della Coppa d’Africa, scattata lo scorso fine settimana in Costa d’Avorio. Da una vita si dice che il calcio del Continente nero sia in crescita, e ciò è innegabile, il problema è che questo miglioramento, purtroppo, si sta verificando assai più lentamente di quanto si credesse qualche tempo fa e di quanto i più entusiasti tentano di farci credere. Il Marocco, si sa, ha stupito tutti giungendo fino alla semifinale dell’ultimo Mondiale, ma è pur vero che la squadra magrebina era formata totalmente da giocatori nati e formatisi in Europa: il dato va dunque assai relativizzato.
Innegabile è comunque il fatto che a ridursi parecchio sia stato il divario che separa le grandi squadre africane dalle realtà più marginali, e a dimostrarlo sono i confortanti risultati colti in questa prima giornata da Guinea Equatoriale e Mozambico, capaci di fermare sul pari (ma addirittura avrebbero meritato di batterle) corazzate del calibro di Nigeria ed Egitto. E bene si è comportata pure la Guinea Bissau, minuscolo e poverissimo Paese che ad Abidjan ha ceduto ai padroni di casa soltanto per 2-0.
A tradirla è stata innanzitutto l’emozione, che nei minuti iniziali ha indotto i giocatori a commettere nefandezze tecniche che hanno in pratica regalato i tre punti agli Elefanti. A proposito, forse l’ex colonia portoghese, oltre a perfezionare la fase difensiva, dovrebbe pure adottare una mascotte più nobile di quella che si è scelta: magari appunto il pachiderma degli ivoriani, il leopardo dei congolesi, il fennec degli algerini o il leone su cui fanno affidamento almeno una manciata di altre squadre. Il licaone, canide organizzato in bande addette alla nettezza urbana della savana, è infatti una bestia che – duole dirlo – più che intimorire, ripugna.
Fra le partite del primo weekend della kermesse africana, la sola che non ho visto in diretta è stata Ghana contro Capo Verde – anch’essa conclusasi col successo inatteso degli outsider, e cioè gli isolani – alla quale ho preferito l’ultimo atto della Supercoppa di Spagna, disputatosi a Riad.
Al di là delle magie di Rodry e Vinicius Jr con cui il Real Madrid ha surclassato (4-1) un Barcellona che a livello di retroguardia ha mostrato pecche che nulla hanno da invidiare agli svarioni africani di cui parlavo prima, a fare notizia è stato l’atteggiamento del pubblico nei confronti di Toni Kroos, che negli scorsi mesi aveva osato criticare la scelta dei suoi colleghi che, cedendo alle lusinghe dei petrodollari, si erano trasferiti in un Paese che non rispetta i diritti umani e in un calcio di bassissima lega, assai carente in fatto di qualità, cultura e tradizione.
Profondamente offesi, dagli spalti quasi del tutto privi di presenze muliebri dei loro stadi in mezzo al deserto, i tifosi locali hanno allora sommerso di fischi e ululati il centrocampista madridista dal primo all’ultimo minuto delle due partite giocate laggiù. Senza peraltro provocare nel tedesco – che ha puntualmente risposto con grasse risate – il minimo fastidio, se non quello di dover ribadire il suo schietto e coraggioso punto di vista: in un campionato del genere io non giocherò mai nemmeno se me lo ordinerà il dottore.
Del resto i tornei del Golfo, quello saudita in testa, malgrado gli enormi investimenti operati stanno registrando una ben modesta affluenza negli stadi, un fallimentare seguito televisivo alle nostre latitudini e un livello tecnico-tattico men che mediocre. Non a caso, alcuni degli atleti finiti laggiù nel corso dell’ultima estate paiono essersi già pentiti, malgrado l’enorme tornaconto pecuniario, della loro scelta. Vivere in certi luoghi, a causa di regole e costumi assai diversi da quelli occidentali, può risultare difficile anche ai multimilionari. Esempio assai eloquente è quello dell’ex Pallone d’oro Karim Benzema, che senza giri di parole ha fatto sapere di essere alla ricerca di un club che gli permetta di tornare al calcio che ancora più conta, quello cioè del Vecchio continente.