L'ammirazione nei confronti di Maradona è sterminata, ma il campione argentino, come la sciatrice Gut-Behrami, ha pure un numero enorme di detrattori
Un paio di giorni fa, in occasione del terzo anniversario della scomparsa di Maradona, sul web e nei bar si sono lette e ascoltate cose davvero abominevoli sul conto del Pibe, che i suoi numerosissimi detrattori non hanno intenzione di lasciare in pace nemmeno da trapassato, per quanto – non dimentichiamolo – Diego sia da considerarsi a tutti gli effetti immortale. I suoi fustigatori si dividono, per lo più, in due grandi categorie: qualcuno lo considera un grande giocatore che si è però macchiato di peccati imperdonabili quali la tossicodipendenza e l’aver segnato un gol di mano all’Inghilterra, altri invece della sua abilità col pallone nemmeno fanno menzione, citandolo soltanto come un drogato imbroglione.
L’accusa principale che al Diez viene lanciata è di non aver rappresentato, col suo comportamento e le sue contraddizioni, un esempio edificante per i più giovani, come se esistesse una legge secondo cui gli sportivi professionisti debbano per forza fungere da modello educativo. In realtà, non sta scritto da nessuna parte che dev’essere così: se poi fra loro ci sono personaggi virtuosi, tanto meglio, ma ritenere che ciò sia imprescindibile corrisponde a una visione piuttosto distorta e ingenua della realtà. Per capirci, se tu come genitore demandi l’educazione dei tuoi figli a Maradona, Mike Tyson o George Best – tutti semianalfabeti e provenienti da ambienti assai disagiati – significa che stai sbagliando qualcosa. Se svolgi bene il tuo dovere, i tuoi ragazzi sapranno benissimo distinguere ciò che di Maradona va ritenuto e ammirato da ciò che invece va aborrito e scartato. E ad ogni modo, fatti i conti, credo che i ragazzini siano stati ispirati dal Pelusa soprattutto in modo positivo: saranno certo più numerosi quelli che grazie a lui hanno iniziato a giocare a calcio – togliendosi magari dalla strada e dalle sue insidie – rispetto a quelli che, per colpa sua, hanno iniziato a tirare coca.
Infine, cari censori della probità altrui, vorrei farvi notare una cosa: tossicodipendenza e alcolismo sono ufficialmente considerate patologie, e dunque mi pare che infierire su drogati e alcolizzati sarebbe un po’ come prendersela con chiunque venga al mondo con deformità o altre malattie. Forse, dunque, è la morale vostra che andrebbe messa in discussione, prima ancora di giudicare quella di Diego e di George Best. Grande sarà il giorno in cui si ricorderà Maradona per quanto ha saputo regalare in campo alla sua gente e non per le sue debolezze, di cui magari siamo vittime pure noi stessi.
Un odio simile a quello riservato a Diego – mutatis mutandis – è quello di cui è vittima in Ticino in pratica da sempre Lara Gut-Behrami e che puntualmente, dopo lo strepitoso inizio di stagione della sciatrice di Comano, è tornato a manifestarsi, anche in questo caso sia in rete sia in piazza. Di gente che soffre quando la campionessa in questione vince, il cantone è davvero pieno, e francamente si fatica a capirne appieno le ragioni. La maggior parte dei suoi nemici sostiene che sia antipatica, e ciò basterebbe – secondo costoro – a giustificare tale avversione viscerale. Posto che ognuno si porta dietro il carattere fornitogli da madre natura – e che tutto è comunque soggettivo – non vedo come ciò possa giustificare le brutalità che mi sono giunte alle orecchie: ho sentito infatti più di una persona augurare alla nostra atleta più famosa e vincente di farsi male in modo serio, ‘così da non vederla più gareggiare’.
A Lara viene rimproverato di tutto, ad esempio di pagare le tasse dove in realtà non risiede, di tirarsela troppo, di essere una rovinafamiglie e – autentico colpo di genio – di essere eccessivamente competitiva, come se si trattasse di un difetto. Si sa che in patria nessuno è profeta, ma questo accanimento verso i propri figli di maggior successo mi pare che alle nostre latitudini sia più marcato che altrove: esempi significativi, del resto, vengono pure dai casi di Mario Botta o Carla Del Ponte, eccellenze che tutto il mondo ci invidia ma che quaggiù, inspiegabilmente, risultano spesso più odiati delle cavallette.