Hippolyt Kempf, responsabile del settore nordico per Swiss Ski, in chiusura dei Campionati del mondo di Oberstdorf guarda al futuro
I campionati del mondo di Oberstdorf sono passati agli archivi domenica con il colpo di scena del ribaltamento del risultato della 50 km. Hippolyt Kempf, indimenticato campione di combinata nordica (oro olimpico individuale e argento a squadre a Calgary 88, bronzo a squadre a Lillehammer 94) e ora direttore per Swiss Ski del settore nordico, guarda alle sfide dei prossimi anni in un’intervista rilasciata all’agenzia Keystone-Sda.
I Mondiali 2021 fanno oramai parte della storia, ma è stato giusto svolgere un evento così importante in un periodo di pandemia? «Senza gare non vi sono sponsor per atleti e squadre, è elementare. Le cancellazioni rappresentano un danno, in primis per il paese organizzatore, ma a medio e lungo termine per tutte le nazionali».
Anche per questo motivo, dunque, si è deciso di portare in Engadina le finali di Coppa del mondo di fondo annullate in Norvegia? «Abbiamo preso due piccioni con una fava: aiutare la Coppa del mondo e dare una mano all’Engadina Skimarathon. Nei giorni scorsi a Oberstdorf ho ricevuto molte parole di sostegno per la nostra iniziativa».
Potrebbe essere, in scala ridotta, un test per capire la fattibilità dell’organizzazione di un Mondiale su suolo elvetico… «Vogliamo dapprima affrontare i campionati del mondo di biathlon nel 2025 a Lenzerheide. Una volta archiviata quella manifestazione potremo guardare avanti. Tra il 2029 e il 2031 dovremmo poter presentare un corposo dossier di candidatura. Dal mio punto di vista, un Mondiale in Svizzera è più che plausibile, anche perché al giorno d’oggi è convinzione comune che non tutte le gare debbano svolgersi nella medesima location, per cui il nostro paese ne guadagna in attrattività».
Tuttavia, al momento rimane insoluto il problema del salto… «Questa è la grande sfida che dobbiamo affrontare. Quando si vede il tipo di strutture allestite dai tedeschi a Oberstdorf, si rimane senza parole. È inutile negarlo, noi di simili non ne abbiamo. A lungo termine occorre accettare l’idea che servano strutture di livello internazionale. A confronto, le nostre sono poco sviluppate, va riconosciuto senza invidia. La nostra è una struttura più snella, il che comporta dei vantaggi, ma a livello internazionale lo standard è più elevato».
In Svizzera molto spesso è la stessa popolazione a rifiutare i finanziamenti per tali progetti. Come convincerli? «È la più grande sfida che gli sport della neve e in generale gli sport di competizione dovranno affrontare nel corso dei prossimi anni. Da un lato ci sono le medaglie, il prestigio internazionale, l’orgoglio che tutto ciò genera, dall’altra la diffidenza dei cittadini. Sta allo sport agonistico svizzero dimostrare che le prestazioni di punta hanno anche effetti di impulso per l’attività sportiva e, in definitiva, per lo sviluppo sportivo, e non solo, di un dato villaggio».
Vale a dire? «Se riusciamo a far capire che di un Mondiale di sci approfitteranno i giovani talenti, ma allo stesso modo la migliorata infrastruttura sportiva che verrebbe così resa accessibile a tutta la popolazione, allora il santo della spesa vale la candela dei benefici che se ne possono trarre».
Guardiamo avanti, alla prossima stagione con i Giochi olimpici. Come può fare Dario Cologna per colmare il gap venutosi a creare con russi e norvegesi? «Pechino rappresenta il suo grande obiettivo. In Cina ci saranno grandi fide. Se riuscissimo a portarlo nelle migliori condizioni possibili, allora potrebbe essere davanti. La sua età sportiva è relativamente alta e se si osserva da vicino si vede che i suoi infortuni passati hanno ancora un effetto. È lì che dobbiamo stare all’erta, per curare nel migliore dei modi la sua condizione fisica».
Cos’altro ci sarà da tenere d’occhio? «La messa a punto della condizione atletica deve essere curata con più precisione. Il lavoro della parte superiore del corpo deve essere maggiormente in linea con il gioco di gambe. Inoltre, man mano che l’età avanza, Dario dovrà porsi questa domanda: mi sto allenando di più o mi sto allenando meglio? Mi sembra chiaro che dovrà sempre più andare nella direzione della qualità, vale a dire allenarsi meno, ma meglio. È una sfida che deve affrontare assieme ai suoi allenatori. Senza dimenticare che dovrà concentrarsi soltanto sugli appuntamenti importanti in termini di allenamento e di struttura delle competizioni. Non potrà andare a Pechino e, come Bolshunov, disputare sei gare».
A Oberstdorf, la Svizzera non ha preso parte a 13 delle 24 competizioni in programma… «Non siamo presenti nella metà degli appuntamenti, ma per me rappresenta una percentuale accettabile. I risultati ottenuti sono conformi alle aspettative, ma è vero che così riduciamo il nostro potere di promozione della metà, per cui nel 50% dove siamo presenti dovremmo poter ottenere risultati migliori. Gli olandesi, ad esempio, negli sport invernali puntano tutto sul pattinaggio di velocità e pur con una sola disciplina finiranno sempre davanti a noi nel medagliere, perché lì vinceranno tutto quanto c’è da vincere».
Come si fa a invertire la tendenza? «Non è logico che non ci siano atlete svizzere nel salto con gli sci, per cui a lungo termine è in questi settori che dovremo puntare la nostra promozione. La mia intenzione è quella di promuovere dapprima il salto con gli sci femminile, per poi tornare sulla combinata».
Nello sci di fondo, invece, nel settore femminile sembra vi sia poco ricambio… «Non è vero, siamo messi bene. Nel 2020 abbiamo vinto la staffetta ai Mondiali juniores e quelle ragazze la prossima stagione si uniranno a noi. Non ci sono solo Nadine Fähndrich e Laurien van der Graaff, ma altre quattro ragazze che stanno crescendo e con le quali non vedo l’ora di lavorare ai massimi livelli».