La bolla anti-Covid ha retto, nessuna competizione è stata falsata dalla pandemia e l’organizzazione è stata ottima
Tre settimane vissute in una bolla olimpica: una situazione assurda e fors’anche discutibile, ma che nel contempo ha garantito la possibilità di incontri con parte della popolazione locale, rivelatasi calorosa, accogliente, disponibile e collaborativa al di là di ogni più rosea aspettativa. Chi ha vissuto l’esperienza anomala e inconsueta della bolla, testimonia che il contatto con gli addetti ai lavori cinesi ha mostrato come, nonostante tutte le legittime obiezioni sulla necessità di organizzare i Giochi invernali a Pechino in tempo di pandemia, gli addetti ai lavori cinesi abbiano fatto un ottimo lavoro, in condizioni difficili. Chiunque abbia avuto la possibilità di stabilire un contatto con gli impiegati degli hotel, impossibili da distinguere nelle loro tute anticontagio, non ha potuto evitare di porsi una domanda: essere qui è un privilegio o una maledizione?
Per i giornalisti presenti a Pechino, il fatto di dover vivere in una bolla, di non potersi spostare, di dover mangiare tutte le sere al buffet dell’albergo ha ben presto assunto i contorni di una routine monotona. Per gli atleti al Villaggio olimpico, invece, le restrizioni erano meno severe. Tuttavia, la spada di Damocle di un test positivo al Covid-19 aleggiava su tutti loro, minacciando in qualsiasi momento d’infrangere il loro sogno olimpico. Ma la bolla ha retto. I test quotidiani si sono rivelati efficienti e richiedevano meno di un minuto. Inoltre, una volta entrati nella bolla, gli atleti erano praticamente immuni al contagio. I più colpiti sono stati coloro i quali si sono infettati subito prima della trasferta in Cina, ciò che li ha obbligati a rinunciare all’evento olimpico, oppure a trascorrere lunghi giorni in isolamento, come accaduto ad esempio al ticinese Dario Simion. Tuttavia, le competizioni non hanno risentito della mancanza, qua e là, di qualche possibile protagonista: non si sono tramutate, insomma, nella temuta farsa, con liste di partenza decimate.
Se da un lato si può eccepire sulla scelta di alcuni siti olimpici, ad esempio quello di Zhangjiakou nelle montagne, scomodo, freddo e ventoso, dall’altro le infrastrutture sportive si sono rivelate di prim’ordine. Il costo economico ed ecologico rappresenta un capitolo a parte, ma le competizioni si sono tenute in impianti all’avanguardia e hanno prodotto vincitori assolutamente meritevoli. Di conseguenza, per gli atleti è stato senza dubbio un privilegio poter prendere parte, in una situazione comunque difficile, alle competizioni olimpiche. Poche nazioni avrebbero potuto gestire meglio l’organizzazione di un evento mastodontico come le Olimpiadi, oltretutto con lo spettro di una pandemia pronta a rialzare la testa.
Certo, rimane l’impressione di aver visto soltanto una sorta di fondale, posto a protezione di una realtà giornaliera ben diversa da quella propinata a delegazioni e giornalisti: una sorta di spettacolo per nascondere i misfatti del governo (le repressioni in Tibet, Xinjiang, Hong Kong). Ma, probabilmente, alle migliaia di collaboratori cinesi, felici di fare incetta di "pins" da tutto il mondo, di potersi mangiare una tavoletta di cioccolato svizzero o di "rubare" un selfie in compagnia di un visitatore straniero.