Un Lugano dai due volti alla fine s‘arrende sul ghiaccio di un Bienne che torna capolista. Vedova. ’Giocando in quel modo sapevamo di non avere chance’
Bienne – Quando Damien Brunner e compagni abbandonano il ghiaccio della Tissot Arena è una marcia trionfale, dopo un 4-1 che per la squadra di Antti Törmanen è sinonimo di ritorno in vetta al campionato. Mentre nel corridoio davanti allo spogliatoio del Lugano la porta è chiusa, e lo rimarrà per parecchi minuti. Non bisogna certo essere degli indovini, per intuire che a Chris McSorley proprio non vada giù, il fatto che la sua squadra abbia dovuto passare il tempo a rincorrere i dischi per oltre mezz’ora. «È proprio di questo che abbiamo parlato, cioè del fatto che non possiamo giocare soltanto per trentacinque minuti – dice Loïc Vedova –. Infatti, dopo il gol di Hudacek ci siamo svegliati e a quel punto la partita è cambiata».
Dopo quel gol, certo, ma soprattutto dopo quel minuto e 39 secondi a 3 contro 5 nell’epilogo del secondo tempo, per un disco spedito in tribuna da Chiesa proprio mentre sulla panchina dei penalizzati c’era già un bianconero, cioè Traber: casualmente o no, da quel momento in poi un Bienne tanto sicuro di sé e tanto autoritario ha cominciato a porsi delle domande, siccome il risultato era pur sempre soltanto di 2-1 in suo favore. «È vero, sono primi o secondi in classifica, hanno un sacco di punti e hanno una squadra forte, ma se quelli del Bienne all’inizio facevano ciò che volevano è perché noi non li mettevamo sotto pressione – continua il ventiquattrenne attaccante ticinese –. Non riuscivamo a vincere i duelli, eravamo sempre in ritardo di quel mezzo secondo: sapevamo bene che continuando a giocare in quel modo non avremmo avuto alcuna chance. Poi, sì, il gol ci ha svegliati».
E quel gol alla fine sarà pure l’unico dei bianconeri, nonostante, specie nel terzo tempo, di occasioni per segnare ne abbiano avute diverse. Un gol, tra l’altro, la cui paternità è di tale Libor Hudacek, autentico uomo della provvidenza di cui la squadra di McSorley ha bisogno adesso e ne avrà ancor più in futuro, siccome le cifre non mentono: sei reti in cinque partite da quando è arrivato in Ticino.
Tuttavia, quel Lugano tenace e grintoso del terzo tempo avrebbe senz’altro meritato miglior sorte. Il problema, però, è che in precedenza in pista di Lugano se n’era visto un altro, che era più o meno il suo esatto contrario, quasi sorpreso di ritrovarsi di fronte un avversario che fa della tecnica e della creatività offensiva i suoi principali punti di forza. «Certo che no, non eravamo sorpresi: sappiamo bene cosa piace fare al Bienne, non è una novità che gioca in quel modo e contro qualunque avversario. Il fatto è che negli ultimi giorni abbiamo cambiato qualcosina nel nostro sistema, di conseguenza all’inizio forse eravamo un po’ pensierosi, un po’ esitanti e questo ci ha portati a essere in ritardo su ogni disco».
Nonostante tutto, però, il grande merito del Lugano è stato quello di riuscire comunque a salvarsi in retrovia, grazie all’ordine con cui Alatalo e compagni si sono mossi in difesa. Restando così in partita fino all’ultimo. Il problema, semmai, è che poi per provare a rientrare i bianconeri hanno dovuto moltiplicare gli sforzi, nonostante l’evidente stanchezza che si portano appresso da settimane, ma di cui McSorley non vuol più sentire parlare. «È vero, abbiamo giocato tante partite in questi due mesi e mezzo, ma ha ragione, non è una scusa. Tra poco arriva la pausa e sappiamo che dobbiamo sforzarci un’altra decina di giorni, quindi stasera saremo pronti».
Contro un Ginevra Servette che però ieri non ha giocato, avendo anticipato a giovedì il derby con il Losanna, e che nel frattempo è già arrivato a Lugano. «Sì – conferma Vedova – abbiamo incrociato i ginevrini nel pomeriggio, prima di partire per Bienne...».