Sessanta minuti memorabili per l'Ambrì Piotta, che contro il Friborgo, oltre ad aver messo il punto finale alla sua stagione, ha detto addio alla sua storica ‘casa’.
Da giocatore prima, dal 1998 al 2001 e successivamente dal 2008 al 2017, e poi da dirigente, in veste di direttore sportivo, dal 2017 in poi. Paolo Duca la Valascia l’ha conosciuta… da un lato e dall’altro. Cosa ha rappresentato per te la Valascia? «È un posto magico, dove ho trascorso una parte importante della mia vita, provando emozioni fortissime, emozioni esaltate anche dal contesto: difficilmente se ne possono produrre di simili in un impianto moderno. Per tutte queste cose, anche ora che ci apprestiamo a traslocare nella nostra nuova casa, la Valascia per me resterà sempre un luogo speciale, che rappresenta tanto, per l’Ambrì Piotta ma anche per il sottoscritto».
‘Uno dei ricordi più forti che ho è il gol che realizzai nella stagione 2009/10 in gara 6 della semifinale di playout con il Bienne, regalando la salvezza all'Ambrì’
Dicevi di emozioni: ne hai vissute di più intense da giocatore o da dirigente? «Le più forti sono indubbiamente state quelle sperimentate quando avevo ancora i pattini ai piedi e un bastone in mano, perché ti senti un attore protagonista delle sorti della società. Da giocatore ho vissuto emozioni veramente memorabili, in positivo, come quando abbiamo vinto la Supercoppa europea, ma anche negative. Come memorabili sono pure state le diverse salvezze conquistate sul ghiaccio all’ultimo respiro. Fra queste, mi torna in mente quella ottenuta nella semifinale di playout contro il Bienne nella stagione 2009/10: alla Valascia, quella sera (il 20 marzo, un sabato), si giocava il sesto atto di una serie che ci vedeva avanti 3-2. Perdere quella partita avrebbe significato giocarsi il tutto per tutto nell’insidiosa ‘bella’ in casa dei Seeländer. Finì al supplementare, dove al 64’14” segnai io stesso la rete della liberazione. La celebrazione, nostra e dei 5’500 presenti quella sera, non la dimenticherò mai. È solo una di tante battaglie che per un club come il nostro si possono definire epiche, con momenti emozionanti».
Ma quello della Valascia, appunto, è un capitolo che per l’Ambrì si è chiuso al termine della stagione 2020/21: è qualche centinaia di metri più in là che proseguirà la storia dei biancoblù: «Non è senza un pizzico di nostalgia per ciò che ci lasciamo alle spalle che ci apprestiamo a entrare nella nostra nuova casa. La tristezza c’è, e non potrebbe essere altrimenti, ma d’altro canto è nella natura stessa della vita che le cose vadano avanti, e non tutto si può portare nel futuro. Così è anche per la Valascia. Adesso ci apprestiamo ad aprire un nuovo capitolo, con una nuova infrastruttura, che sicuramente sarà più comoda per tutti e più performante. In questo senso, le scomodità e i limiti di un impianto datato come quello della Valascia ci sono state utili anche per affinare la ricerca di soluzioni ottimali per i nostri programmi di lavoro. E questa mentalità è una di quelle cose che dovremo premurarci di mettere negli scatoloni del trasloco e portare anche nella nuova pista». E in quegli scatoloni finiranno anche le quattro maglie che il club ha ritirato nella sua pluri ottantennale storia. Ossia quelle di Dale McCourt, Peter Jaks, Nicola Celio e dello stesso Paolo Duca: «Sinceramente non so se fisicamente verranno portate nella nuova pista. Sia quel che sia, quel gesto che la società ha voluto fare nei miei confronti mi ha riempito di orgoglio, e il fatto che la mia maglia sia stata simbolicamente appesa sotto il tetto della Valascia mi lega ancora di più a quella pista. Ecco, un altro ricordo che porterò sempre con me è la cerimonia del ritiro della maglia, in occasione di una partita casalinga contro il Davos».
Cosa significa dare l’addio alla Valascia al termine della stagione della pandemia? «È triste che il commiato avvenga così, senza la possibilità per i tifosi di applaudire i loro beniamini sul ghiaccio. Nessuno avrebbe mai immaginato che le cose sarebbero andate così; né a inizio stagione né quando, a fine ottobre, l’Ambrì Piotta giocò la sua ultima partita a porte… parzialmente aperte. Non ce ne siamo resi conto, e così la pandemia ha negato quello che sarebbe stato l’ultimo consapevole saluto alla Valascia».
«Finire l’ultima stagione alla Valascia così, senza pubblico, lascia una sensazione di incompiuto, come se mancasse ancora qualcosa». È con un velo di tristezza nella voce che il direttore generale dell’Ambrì Piotta Nicola Mona parla dell’ultima annata della Valascia.
‘Peccato soprattutto per non aver potuto salutare i tifosi un'ultima volta allo stadio. Perché sono loro gli artefici di questa magia biancoblù’
«In questi anni è stata la nostra casa, la nostra ‘tana’. Il posto dove ci sentivamo al sicuro, il luogo in cui potevamo ritrovare noi stessi, il nostro spirito e la nostra identità, ritrovando le risorse necessarie per batterci in questa Lega sempre più competitiva, sportivamente ma anche finanziariamente. Di fatto la Valascia l’avevamo nostro malgrado dovuta chiudere già diversi mesi fa, con l’imposizione di giocare senza pubblico. Già quello, per i nostri tifosi, è stato un addio forzato; logicamente non quello che ci saremmo augurati e che era nei nostri piani. Piange il cuore averlo dovuto fare in questo modo, soprattutto per il fatto che questa pandemia non ha permesso ai tifosi quell’ultimo saluto al loro stadio, perché sono poi loro in fondo gli artefici dell’atmosfera unica che si respirava alla Valascia in tutti questi anni. In questo senso quello che provo è più il dispiacere per non aver potuto salutare loro, i tifosi, alla Valascia. Perché lo stadio, bene o male, ce lo porteremo sempre con noi nei nostri ricordi».
Si potranno ricreare le stesse premesse nel nuovo stadio? «Faremo di tutto per riuscirci. Non so se sarà facile o meno, ma di certo ci proveremo con tutti i nostri mezzi. Noi faremo la nostra parte, anche se l’ambiente non lo fa la struttura, ma la gente: saranno i nostri tifosi a dover cercare di ricreare la medesima magia della Valascia, attraverso la loro energia e la loro passione. Ad ogni buon conto, fin dall’inizio dei lavori per la costruzione della nuova pista abbiamo affinato alcune peculiarità, alcune personalizzazioni che dovrebbero agevolare quella sensazione di sentirsi nuovamente ‘a casa’, sia per i giocatori, sia per i nostri tifosi. Non a caso, nel nuovo stadio ritroveremo diversi elementi che caratterizzavano la Valascia».
E non è nemmeno un caso che il progetto di quest’ultimo porti la firma dell’architetto Mario Botta: «Proprio così: Mario Botta frequentava la Valascia da bambino, e questo trascorso gli è tornato utile al momento di chinarsi sul disegno della nostra nuova casa».
È il momento di voltare pagina, di salutare per l’ultima volta la Valascia. Cosa significa per il presidente congedarsi dalla storica casa dell’Ambrì Piotta? «Evidentemente, come tutti i tifosi, anche io provo un certo vuoto sentimentale, un vuoto che si fa sentire – racconta Filippo Lombardi –. Bene o male, tutti siamo cresciuti in questa pista, ed è chiaro che si provi un certo dispiacere a chiudere per sempre quei cancelli. E spiace ancora di più averlo dovuto fare al termine di una stagione per gran parte giocata senza il pubblico». Al di là dei sentimenti, Lombardi guarda all’aspetto pratico: «Di soli sentimenti, ovviamente, però non si può vivere. E la realtà dei fatti imponeva questo passo: andare avanti così, in ogni caso, non ci era più possibile. Se Ueli Maurer non fosse venuto quel 22 dicembre 2018 a dare la simbolica prima palata alla costruzione del nuovo stadio, noi il 31 dicembre dello stesso anno avremmo con tutta probabilità ricevuto la decisione negativa da parte della Lega circa l’ottenimento della licenza per disputare il campionato 2019/20. D’altro canto, quella di cambiare sede non è stata una nostra scelta, ma un’imposizione. Non a caso i miei primi due anni di presidenza sono stati spesi sul progetto di ristrutturazione della Valascia: dall’aprile del 2009 al novembre 2010 mi sono occupato intensamente con tutti gli attori del caso a questo progetto. È allora che è arrivata la comunicazione che secondo quanto stabilito dall’istituto di valanghe di Davos, un angolo della Valascia rientrava nella famigerata ‘zona rossa’, per cui non sarebbero state rilasciate né concessioni né deroghe… Quella di dover accantonare il tutto non è stata una scelta presa a cuor leggero, ma era anche l’unica opzione che avevamo».
‘Desolante vedere lo stadio vuoto, ma per fortuna il cantiere della nuova pista ci ha creato una certa distrazione’
Della vecchia Valascia resteranno dunque solo i ricordi e le storie di chi l’ha vissuta… «Il coté storico della Valascia resterà sempre vivo; la nostra principale premura, a parte ovviamente... quella di concludere il cantiere e pagare tutti gli artigiani, sarà quella di portare nella nostra nuova casa quello stesso spirito della Valascia».
Come l’ha vissuta Filippo Lombardi l’ultima stagione della Valascia? «È ovviamente stato spiacevole vedere uno stadio giocoforza deserto, fatta eccezione le prime partite della stagione regolare, ma d’altro canto, fortunatamente, un occhio era costantemente puntato sul cantiere per la costruzione della nuova pista, ragion per cui non abbiamo avuto tanto tempo per piangerci addosso. Qui è stata una lotta continua: di settimana in settimana dovevamo lottare per rispettare i tempi, rispettare il budget e cercare delle soluzioni ancora più funzionali in presa diretta, perché in corso d’opera abbiamo appunto apportato più d’un correttivo».
Prima di aprire le porte del nuovo stadio, e di chiudere definitivamente quelle della Valascia, il presidente biancoblù chiama a raccolta i tifosi: «Qualora in estate dovessero essere allentate le attuali restrizioni dettate dalla pandemia, è nostra intenzione proporre un evento per chiamare un’ultima volta i tifosi alla Valascia: non ci sarà più il ghiaccio, ormai, ma sarà quanto meno un’occasione per varcare una volta ancora quei cancelli e ritrovare un po’ di quelle emozioni vissute fino a oggi». E, in fatto di emozioni, quali sono quelle più importanti provate da presidente dell’Ambrì Piotta in questa pista? «Ce ne sono state parecchie, ma se devo sceglierne un paio, citerei senza dubbio le due salvezze conquistate allo spareggio sul ghiaccio della Valascia. Quelle vittorie le ho vissute come un sollievo, per averci tolto dalla testa il peso di un macigno. E poi non scordo nemmeno la mia prima partita da presidente qui alla Valascia. La sera del 10 settembre 2009: un derby, cominciato male, ma che alla fine ci vide vittoriosi per 6-3».
Ambrì – Nel rettilineo, Filippo Lombardi si intrattiene con alcuni giornalisti per un'intervista, mentre i giocatori stanno ultimando il loro riscaldamento pre-partita. Fuori, sul piazzale della Valascia, già da tempo si è radunata una discreta folla di persone, tutte rigorosamente sfoggiando qualche gadget biancoblù, chi una sciarpa, chi la maglia, e chi altro ancora. Davanti ai cancelli, invece, è un brulicare di addetti alla sicurezza della pista, quasi assenti per gran parte della stagione, ma rigorosamente convocati per scongiurare ogni possibile inconveniente in questa ultima partita alla Valascia. Ci sono invece gli occhi discreti degli agenti di sicurezza di una compagnia privata a scrutare le... entrate alternative, quelle cioè che tradizionalmente venivano sfruttate per aggirare i cancelli delle entrate ufficiali. Tutto per garantire, in ossequio alle disposizioni sanitarie, una pista off-limits ai tifosi. C'è anche chi, in una pausa, se ne va con un pezzo di asse di legno dipinto di biancoblù, sorta di cimelio sottratto abusivamente alla struttura della pista.
È in questo clima che va in scena l'ultima partita della Valascia, in un lunedì di Pasquetta dalle temperature piuttosto miti (e atipiche per una partita in Leventina), tra l'Ambrì Piotta e il Friborgo. Mentre fuori, a ridosso dei cancelli, si affacciano i tifosi, che durante tutti i sessanta minuti di gioco non mancano di far sentire la loro voce a sostegno dei loro beniamini. La partita, per onore di cronaca, finisce con il risultato di 2-3. Di Perlini e Trisconi le reti dei leventinesi, con il numero 18 che ha così l'onore di realizzare l'ultimo gol ufficiale della stagione e della storia della Valascia, mentre di Marchon è l'ultimo in assoluto, al 44'59".
Il conto alla rovescia dell'orologio della pista, più che indicare ai biancoblù il tempo residuo per recuperare lo strappo nei confronti dell'avversario, è un simbolico conteggio del tempo residuo della Valascia: che il momento è quasi storico lo intuiscono un po' tutti, sottolineato anche da quel tutt'altro che casuale 'Final Countdown' degli Europe risuonato al 45'30", durante la pausa prima di un ingaggio.
E non poteva ovviamente mancare, alla fine, La Montanara, malinconicamente cantata però direttamente dal piazzale, anziché dalle gradinate della Curva Sud. Come pure l'ultimo Geyser Sound, in direzione del rettilineo, 'diretto' dal partente Novotny, celebrato a fine partita unitamente a un commosso... neo pensionato Ngoy.