Il venticinquenne ex difensore bianconero che debuttò in A con l'Ambrì è pronto alla sua nuova vita. In divisa: 'Già da bambino volevo fare il poliziotto'
Era il capitano dei Rockets, Sacha Tosques. A soli venticinque anni, però, al termine dello scorso campionato in Swiss League, il difensore ticinese ha improvvisamente deciso di appendere al chiodo quei pattini indossati per la prima volta all’età di sei anni («ho iniziato per caso a pattinare, dopo che mia madre e una sua amica si dissero che i loro figli avrebbero dovuto imparare a muoversi sul ghiaccio», ricorda). Dopo diciannove stagioni in pista, inseguendo un sogno che, però, alla fine ha capito che non si sarebbe concretizzato. «Se non ero ancora riuscito a fare il grande salto a 25 anni, dovendo sempre avere un secondo lavoro a fianco dell’hockey per poter vivere, trovavo che fosse giusto intraprendere un’altra strada», spiega il ragazzo formatosi sul ghiaccio dell’allora Resega. Dove ha svolto l’intera trafila nelle giovanili, fino ad arrivare a sfiorare il titolo svizzero juniores nella finale contro il Berna. «In quella squadra c’era parecchia gente che ora è diventata professionista. Penso naturalmente a Elvis Merzlikins, ma pure a Matteo Romanenghi, Luca Fazzini, Dario Simion, Riccardo Sartori e Giovanni Morini – racconta Tosques –. Io, invece, dopo le giovanili non avevo trovato posto in B, e così avevo firmato per due anni con il Biasca, in Prima Lega».
Quindi sono arrivati i Ticino Rockets: 150 partite in quattro stagioni, e a Biasca ti hanno seguito anche Lugano e Ambrì. «In quei quattro anni ho avuto la fortuna di allenarmi molte volte con il Lugano, giocando anche un torneo a St. Moritz (l’All Saints Cup, nella pausa di campionato per le Olimpiadi in Corea due anni fa, ndr), e una volta durante i playoff mi hanno tesserato con una licenza B».
In National League, però, ci sei arrivato con l’Ambrì. «Sì, dopo essermi potuto allenare alla Valascia, era la stagione 2018/19, riuscii a fare il mio debutto a Zugo: vincemmo 6-2, e realizzai pure un assist. Poi nell’ultimo anno ho fatto ancora qualche allenamento a Lugano, finché, beh, è arrivato il coronavirus».
Qualche rimpianto? «Forse uno, l’unico nella mia pur corta carriera. Nella prima stagione in B si era fatto avanti l’Ajoie, ma alla fine decisi di rimanere a Biasca. Con il senno di poi sarebbe stato giusto cambiare aria, ma allora ero giovane e non volevo lasciare il Ticino. Il fatto è che i Rockets sono pur sempre un club di formazione, e dopo quattro anni era giusto fare un pensiero anche a tutto il resto, e così ho chiuso con l’hockey giocato.”
Dopo aver fatto senz’altro tanti sacrifici... «Direi tantissimi, pensando che mi dividevo tra ghiaccio e scuola. Pensando a tutte le volte in cui dopo gli allenamenti serali dovevo studiare fino a mezzanotte. Però, la voglia di giocare a un certo livello ti faceva andare avanti. Ma non è facile avere due piedi nella medesima scarpa...».
Ora invece si apre un capitolo del tutto nuovo. «Un doppio capitolo. Da una parte perché, dopo aver superato gli esami d’ammissione, sono stato assunto dalla Polizia cantonale. In fondo, già da bambino avrei voluto fare il poliziotto, e quand’è uscito il concorso mi sono candidato e ce l’ho fatta: comincerò il primo marzo».
L’altra parte, invece? «Dall’altra ci sarà sempre l’hockey. Un giorno, Hnat Domenichelli, che in passato è stato anche mio agente, mi propose di fare il vice di Luca Gianinazzi sulla panchina della Under20 bianconera. Luca lo conosco bene, ci avevo giocato sia a Lugano, nelle giovanili, sia a Biasca, e dopo una lunga chiacchierata ho accettato la nuova sfida. E direi che mi trovo molto bene: c’è un’ottima collaborazione tra noi e questa squadra, che adesso è seconda in classifica, ha un enorme potenziale. Essere in stretto contatto con questi giovani che sono nel pieno dello sviluppo nella loro adolescenza non è sempre semplice, ma è molto gratificante».
Come dev’essere gratificante sapere che Elvis Merzlikins, il tuo migliore amico, ha spinto in là il suo sogno tanto da arrivare a vestire la maglia dei Columbus Blue Jackets, in Nhl. «Ricordo quando cominciammo entrambi con la scuola hockey. All’inizio Elvis faceva l’attaccante, ma poi un giorno, a un torneo della categoria Piccolo fu lui ad andare in porta perché il nostro portiere s’era ammalato. Soltanto che all’inizio si muoveva come se fosse un portiere di calcio...»
Vi sentite ancora? «Sì, certo, molto spesso. E mi piacerebbe moltissimo poter andarlo a trovare. Finora, per colpa de Covid, è stato impossibile farlo, ma forse, in primavera... Io ed Elvis a un certo punto ci eravamo persi di vista, durante il periodo delle Elementari, dopo che con sua mamma era tornato in Lettonia. Ma da quand’è tornato a Lugano ci siamo ritrovati, e l’amicizia si è rinsaldata. Anche se dopo cinque stagioni nelle giovanili le nostre strade sportive si sono divise, a parte gli allenamenti che ho potuto fare con la prima squadra a Lugano. La nostra, però, è un amicizia vera. Fatta di molte ore, e di molte vacanze passate insieme».
Ora che hai scelto di cambiare vita, se ripensi a ciò che è stato non avverti un po’ di nostalgia? «Direi di no. Ho giocato tante partite, ho festeggiato una promozione e poi sono stato eletto capitano dei Ticino Rockets. Senza contare che ho potuto anche giocare in National League, che era il mio sogno fin da bambino, e in quella partita ho pure confezionato un assist. C’è chi si ferma a 15 anni, chi a 35: io invece ho detto basta a 25, e va bene così».