In Ticino sale l'attesa per la sfida di sabato a Berlino fra rossocrociati e azzurri
Ormai da tre giorni sappiamo che l’avversario dei rossocrociati negli ottavi di finale dei Campionati europei di calcio sarà l’Italia, e in Ticino, inevitabilmente, la notizia è stata parecchio commentata. E lo sarà – sempre di più, va da sé – anche nei due giorni che ancora ci separano da questo match in cartellone a Berlino.
Da sempre considerata alle nostre latitudini la partita con la P maiuscola, quella che andrà in scena sabato sarà senz’altro la sfida di maggior valore e prestigio fra quelle finora disputate, almeno per quanto concerne egli ultimi 70 anni, perché non va dimenticato che le due squadre si erano già affrontate ai Mondiali del 1954, giocati proprio in Svizzera, quando gli elvetici furono in grado, nella fase a gironi, di battere gli azzurri non una ma ben due volte.
Nel nostro cantone, quello coi confinanti a sud è un duello che travalica l’ambito squisitamente sportivo: la rivalità con gli italiani, in certi casi addirittura l’odio reciproco, si riscontra infatti nei più svariati ambiti della vita quotidiana.
Politica ed economia, è innegabile, hanno del resto contribuito nei decenni a incattivire quello che già era un rapporto piuttosto conflittuale, come d’altra parte succede spesso fra parenti: è infatti più facile litigare con ti è più simile – e con chi ti sta più vicino – che non con qualcuno lontano da te anni luce. E si sa, inoltre, che siamo tutti bravissimi a vedere e a censurare negli altri i nostri stessi difetti.
Per provare, per quanto possibile, a stemperare un po’ gli animi in queste ore di trepidante vigilia, vorrei qui ricordare personaggi ed episodi che – benché abbiano a che fare col pallone e con la ‘ramina’ – per una volta non rimandano ad astio e divisione, bensì a vicinanza, reciprocità e solidarietà.
Nella zona di Chiasso, fino a qualche anno fa, il sabato si sconfinava – a piedi – per bere un bitter e giocare un paio di colonne sulle partite dell’indomani con la speranza, purtroppo sempre vana, di imbroccare la sequenza di 1-x-2 capace di cambiarci la vita. In realtà, nel corso della settimana, eravamo tutti già espatriati più volte, probabilmente per mangiare una pizza, e certo per fare un po’ di spesa, rientrando magari con un paio di bottiglie e un chilo di chianina non dichiarati. Si provava, in quelle occasioni, il brivido dei contrabbandieri, cioè di coloro che nel corso di secoli, per questioni di mera sopravvivenza più che per arricchirsi, avevano trafugato mercanzie di varia natura da un lato all’altro della frontiera.
Cacciato dalle testate per cui lavorava – il “Piccolo” di Trieste e la “Gazzetta dello sport” – il giornalista Massimo Della Pergola, preso in consegna da due spalloni, su una traccia da camosci che collegava la Valle d’Intelvi a quella di Muggio contrabbandò invece soltanto la sua persona e la sua religione israelita. Correva la notte di Natale del 1943, e cercava di mettersi in salvo da rastrellamenti e deportazioni.
Trovato asilo in un campo di lavoro in Vallese, l’esule venne a conoscenza delle schedine dello SportToto – che nel nostro Paese già circolavano da qualche tempo – e decise di prenderle a modello per l’elaborazione di un gioco a pronostici da importare e diffondere in Italia una volta che guerra e persecuzioni fossero terminate. A tempo debito, il suo progetto ebbe davvero successo e fu così che, a Milano, nacque il Totocalcio. Sodale di Massimo Della Pergola in quella fortunata impresa fu il bellinzonese Geo Molo, uno che dunque il confine l’aveva invece superato in direzione contraria.