Ciclismo

Gino Mäder nel ricordo dei tifosi e degli esperti

Le reazioni alla tragica notizia manifestate dall'ex professionista Antonio Ferretti e da uno dei fondatori del fan club del corridore

In sintesi:
  • Davide Bazzurri, ticinese, è fra i responsabili dell'unico fan club di Gino Mäder, che ha sede proprio in Ticino, nel Mendrisiotto
  • Antonio Ferretti, ex corridore professionista ed ex giornalista specializzato, prova a ipotizzare cosa possa essere successo in occasione della tragedia
16 giugno 2023
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La notizia della morte di Gino Mäder è di quelle che davvero sconvolgono molte persone, specie naturalmente chi lo aveva conosciuto bene. Messaggi di cordoglio sono giunti, specie via social, da ogni dove. Ad esempio a manifestare profonda tristezza è stata la consigliera federale Viola Amherd, così come presto sono giunte le condoglianze da parte di Swiss Cycling e di moltissimi colleghi del corridore rossocrociato deceduto a seguito del terribile volo in un dirupo, ieri (giovedì), nel corso della quinta tappa del Tour de Suisse, scendendo dal Passo dell'Albula. Ma è anche il caso ad esempio di Davide Bazzurri, di Morbio Inferiore, fra i fondatori dell’unico fan club della Svizzera dedicato allo sfortunato corridore. «Avevamo organizzato un po’ all’ultimo momento la trasferta nei Grigioni per seguire Gino», ci dice al telefono. «Eravamo d’accordo di incontrarci con lo zio e il nipote del ragazzo, e così è stato. Loro sono saliti sull’Albula in bici, noi invece in macchina. Noi ci siamo sistemati a 2 km dalla vetta, lo abbiamo visto passare molto contento malgrado la gran fatica che stava facendo. Ci ha salutato sbracciandosi e con un gran sorriso. Poi abbiamo impacchettato i nostri striscioni, siamo scesi e abbiamo ritrovato zio e nipote, come d’accordo, per consegnar loro i nostri striscioni, che avrebbero utilizzato sabato e domenica nelle ultime due tappe, che passeranno vicino a casa loro, non lontano da San Gallo».

Come avete saputo dell’incidente ?

Già scendendo in macchina guardavo la classifica e, non vedendo il nome di Gino, ci siamo chiesti se fosse successo qualcosa. E poi purtroppo, giunti in basso, lo zio ci ha detto che il ragazzo era caduto. Poi, rientrando verso il Ticino, vicino a San Bernardino mi ha chiamato il papà di Gino e mi ha spiegato ciò che sapeva fino a quel momento. La Bahrain l’aveva contattato dicendogli che Gino era stato elitrasportato all’ospedale di Coira e che la situazione era grave, dato che era in coma. In pratica, i medici già temevano ciò che poi è purtroppo successo.

Com’è nata la vostra passione per Gino?

Risale ai Mondiali di Innsbruck del 2018, quando lui fu fondamentale per la vittoria di Hirschi nella gara degli U23: gli dette davvero una grossa mano. Il giorno seguente, in occasione della gara élite, incontrammo dapprima il papà di Gino, che era stato avvicinato dal nostro presidente, il quale sapeva che il ragazzo era molto promettente. E subito dopo abbiamo conosciuto anche Gino, con cui rimanemmo l’intera giornata e, alla fine, gli dicemmo: ‘Dato che ora passerai professionista, noi diventeremo il tuo fan club’. Lui credeva che scherzassimo, ma alla fine – dato che noi momò siamo un po’ matti – l’abbiamo fatto davvero e non abbiamo mai più smesso di seguirlo. Al nostro club possono aderire tutti, senza tasse e senza iscrizione, è una cosa molto libera.

In queste ore dolorose, quali sono i primi ricordi che le vengono in mente?

Alla fine d’ottobre del 2021 abbiamo invitato Gino e tutta la sua famiglia in Ticino – mamma, papà, zii ecc. – per trascorrere un weekend con noi. È stato bellissimo: il sabato siamo andati, in un piccolo gruppetto, a pranzare a Scudellate, mentre alla sera abbiamo fatto una festa aperta a tutti presso un noto ritrovo chiassese, con accompagnamento musicale di Toto Cavadini. L’anno successivo, invece, in occasione della tappa del Tour con arrivo a Novazzano, avevamo preparato una grande accoglienza per Gino – con striscioni e scritte sulla strada – in due punti distinti della parte conclusiva del tracciato, uno a Castel San Pietro e uno sui tornanti che uniscono Fontanella a Vacallo alto e Morbio Superiore. Lui però, purtroppo, proprio quella mattina si ammalò, prese il Covid e dovette ritirarsi. Ora siamo in attesa di sapere quando ci sarà il funerale, immagino che nel pomeriggio mi chiamerà il papà del povero Gino.

Raggiungiamo al telefono anche l’ex corridore professionista – ed ex giornalista specializzato – Antonio Ferretti, che in questi giorni si trova proprio in Engadina, a Silvaplana, per una breve vacanza. «Sono molto scosso», esordisce. «Fra l’altro mi ha appena chiamato mio figlio, in lacrime. Lui e Gino si conoscevano benissimo, avevano corso un anno insieme nel Vc Mendrisio, e spesso condividevano la camera nei ritiri o durante le gare. Trovandomi nei Grigioni, ieri (giovedì) ero andato proprio sull’Albula a seguire le fasi finali della tappa. E alle 10 di stamattina (venerdì), prima ancora di ricevere la terribile notizia, sono tornato lassù per farmi un’idea di quanto potesse essere accaduto.

E che idea ti sei fatto?

Quella in cui è avvenuta la tragedia è una discesa che i corridori svizzeri conoscono benissimo, perché in quella zona fanno molto spesso campi d’allenamento e l’Albula è la palestra ideale, su entrambi i versanti. Quella discesa, dunque, la affrontano molte volte, pare dunque inspiegabile questa tragedia. Sul posto c’era la polizia, che aveva appena tracciato le linee tratteggiate delle possibili traiettorie seguite da Mäder e dall’americano Sheffield, l’altro corridore coinvolto nell’uscita di strada. Si tratta di una semicurva all’inizio della discesa dove nemmeno si frena, e probabilmente sono arrivati velocissimi, credo ci fosse anche vento a favore. Difficile capire cosa sia successo, magari uno dei due ha sbagliato qualcosa. Forse ne sapremo di più quando Sheffield sarà in grado di parlare, sempre che si ricordi qualcosa, data la commozione cerebrale.

Purtroppo in questo sport le tragedie si stanno moltiplicando, e non solo durante gli allenamenti sulle strade aperte al traffico, ma anche nel corso delle gare. Come mai?

Il ciclismo, purtroppo, è diventato ormai lo sport più pericoloso in assoluto, negli ultimi anni ci sono stati molti morti. In Formula 1 e nel Motomondiale si è fatto molto per la sicurezza, e incidenti mortali ne capitano ormai pochissimi. Devo dire però che, nell’ultracentenaria storia del ciclismo, di cadute come quella di ieri – con i corridori finiti in un burrone – ce ne sono state pochissime, perché in quei momenti gli atleti hanno una concentrazione elevatissima. Era successo a uno dei fratelli Schleck una decina d’anni fa, nel Malcantone, ma non si era fatto nulla perché un albero ne aveva attutito la caduta. E a me accadde invece al Tour de France, proprio dove morì Fabio Casartelli nel ’95, ma – dopo aver fatto un salto mortale – io ebbi la fortuna di finire nell’erba, mentre il comasco picchiò la testa contro un blocco di granito che nel frattempo avevano posato, forse per delimitare la strada d’inverno. Forse solo l’incidente occorso a Rivière alla Grande Boucle del 1960 è paragonabile a quello di Mäder: il francese rimase paralizzato alle gambe, e morì di cancro solo diversi anni dopo.

Di certo le velocità vanno aumentando sempre di più…

Le nuove bici sono dei missili, l’evoluzione del carbonio ci ha consegnato mezzi che inducono ad andare sempre più forte, perché la tenuta di strada è diventata pressoché perfetta, i picchi di velocità si raggiungono in tempi sempre più brevi, in sella non hai mai la sensazione che la bici ti stia scappando via, la senti proprio piantata a terra. Ma è però ovvio che, le poche volte che perdi il controllo del mezzo, le cose possono mettersi davvero male. Anche sui freni a disco c’è parecchia discussione – fra pro e contro –, ma nel caso di Mäder non credo sia stato un problema di freni. Forse uno fra lui o Sheffield ha forato e ha travolto il rivale, ma se non salta fuori un testimone oculare credo che sarà difficile sapere per certo come sono andate le cose. Spero ad ogni modo che la tragedia di ieri, in cui la fatalità avrà probabilmente giocato un ruolo determinante, non scoraggi i giovani che si stanno avvicinando al ciclismo, che rimane uno sport bellissimo. Si corre però su strade senza protezioni, sarebbe impensabile infatti piazzare vie di fuga – come negli sport motoristici – o materassoni, come nello sci alpino, lungo l’intero tracciato di una gara.

Tecnicamente, che corridore era Gino Mäder?

Era innanzitutto un ragazzo gentile ed educato. In sella era un vero jolly, bravo in tutto già da junior, quando con Hirschi dava vita a fughe incredibili. Riusciva ad andar bene anche sulle salite lunghe e si difendeva egregiamente a cronometro – fece parte infatti del quartetto elvetico dell’inseguimento a squadre – benché ultimamente fosse molto dimagrito e quindi aveva perso qualcosa in questa specialità. Forse in volata, ecco, non era troppo forte. E poi, era un po’ fragile fisicamente, cagionevole, si ammalava spesso e cadeva più frequentemente dei suoi avversari. Ma senz’altro occupava degnamente un posto di rilievo fra i fenomeni della nuova generazione del ciclismo svizzero, con Hirschi, Bissegger e quelli ancora più giovani di loro.