Con la qualificazione ai quarti di Europa League ottenuta giovedì, continua la crescita del club norvegese, espressione di una realtà sorprendente
In Europa ci stiamo ormai abituando tutti al Bodø/Glimt, e probabilmente questo è il complimento più grande che il club norvegese possa ricevere. La squadra è da giovedì sera ai quarti di Europa League e non fa più notizia, quando solo poco anni fa era una tra le migliaia di provinciali perse tra la periferia dell’Europa pallonara, con rilevanza solo locale. Da quel preliminare 2020-21, perso facendo sudare sette camicie al Milan, il Bodø/Glimt di Kjetil Knutsen è diventato un habitué di un certo livello del calcio continentale, un po‘ come, ovviamente fatte le debite proporzioni, l’Atalanta di Gian Piero Gasperini con la Champions League. Solo che, rispetto alla Serie A, la Eliteserien norvegese si trova ai margini dell’impero calcistico, soprattutto a livello economico, e ciò significa ogni anno smontare pezzi della costruzione senza farla crollare, quasi fosse una partita a Jenga.
Ma in comune con la squadra di Bergamo c’è una certa filosofia calcistica, riassunta da Harald Berg, arzillo 83enne a cui è dedicata la statua posta fuori dallo stadio Aspmyra: «Se hai il coraggio di giocare a calcio, il tuo calcio, hai sempre una possibilità, contro qualsiasi squadra». Il calcio del Bodø/Glimt è rapido, aggressivo, piacevole, organizzato: tutte componenti che fanno apprezzare la squadra anche da un pubblico neutrale. Dal 2020 a oggi il club in Europa ha vinto 29 partite casalinghe sulle 37 disputate, e nelle ultime cinque stagioni ha totalizzato quasi cinque volte il totale dei punti per il coefficiente Uefa rispetto a quelli raccolti in tutta la sua storia precedente.
Bodø non è esattamente la città più attraente d’Europa. Con i suoi 51mila abitanti situati duecento chilometri sopra il Circolo popolare, viene chiamata anche la Città del Vento in quanto, a livello statistico, sono al massimo dieci le giornate in un anno in cui non vola una foglia. C’è freddo, pioggia e così tanto buio in inverno che, quando arrivano i mesi estivi, la città sembra non dormire mai. Chi scrive è sbarcato anni fa con una nave postale alle due di notte, il cielo terso e una luminosità da ora di pranzo, trovando un ambiente brulicante come fosse una mattinata qualunque di lavoro e non un orario da notte fonda. Ma dura poco, poi tornano il gelo e la neve. Bombe di neve capaci di mettere trenta-quaranta centimetri in meno di un’ora. Eppure lì nessuno si fa prendere dal panico. Non mettono nemmeno il sale, perché verrebbe ricoperto in breve tempo da un altro strato di neve. Gli abitanti scendono in strada con scarpe con i tacchetti di ferro, come fossero calciatori. Le scelte estetiche passano in secondo piano. «A Bodø ho imparato ad apprezzare le mutande di lana», dice Joshua Smits, portiere olandese che ha disputato tre stagioni con il Glimt.
In questo mondo avvolto nel ghiaccio e posizionato sulle coste di un mare che, a cause delle correnti, invece non ghiaccia mai, il calcio è più di una passione. È lo sport più praticato in città, anche rispetto ai tipici sport nazionali come sci o pattinaggio, perché è sempre stato il collante della comunità, fin da quando aveva dovuto essere ricostruita nel Dopoguerra perché la città era stata rasa al suolo dai bombardamenti tedeschi e la gente aveva dovuto fuggire sulle barche, trovando rifugio tra i fiordi.
Il calcio è stato importante anche quando Bodø e tutta l’area del Nord-Norges erano considerati territori di serie B. Anche la moderna e progressista Norvegia ha infatti i suoi scheletri nell’armadio, dalle politiche di assimilazione forzata nei confronti del popolo sami (basti pensare che solo all’inizio degli anni Novanta è stato riconosciuto ai bambini sami il diritto a essere istruiti nella propria lingua) alla discriminazione che per decenni ha colpito la popolazione della Norvegia settentrionale. Il calcio fornisce la perfetta fotografia di quella che era la situazione. Fino al 1971 le squadre provenienti dalle zone sopra il Circolo polare artico, che hanno nelle città di Bodø e Tromsø le loro realtà più rappresentative, non erano ammesse nella massima divisione nazionale. La motivazione ufficiale riguardava il livello del loro calcio, ritenuto troppo scadente. In realtà nessuno dei club del sud voleva viaggiare ore e ore (su strada Bodø e Tromsø distano dalla capitale Oslo rispettivamente 1’200 e 1’738 chilometri) per raggiungere luoghi ritenuti inospitali, nonché popolati da selvaggi taglialegna e rozzi pescatori. I giocatori di quelle squadre non potevano nemmeno essere convocati in Nazionale, ma giocavano nella squadra, non ufficiale, della Norvegia del Nord.
I discriminati di ieri sono diventati l’orgoglio nazionale di oggi, e i pregiudizi si sono trasformati in stereotipi da cabaret su cui molti norvegesi amano ridere. Quasi per contrappasso, ai giorni nostri una delle università più all’avanguardia nel paese è la UiT Norges Arktiske Universitet di Tromsø, mentre nel 2024 Bodø è stata la capitale europea della cultura. Proprio la città che fino a qualche tempo fa veniva etichettata come Boring Bodø per il suo placido sonnecchiare senza offrire stimoli particolari. A questo mutamento di immagine il Bodø/Glimt ha contribuito in maniera sostanziale.
Il Bodø/Glimt è stato il primo club della Norvegia del Nord a vincere un trofeo nazionale (la Coppa di Norvegia nel 1975, un successo che, come dichiarato dall‘ex giocatore Runar Berg, ’andò oltre la dimensione sportiva, regalando un’identità alla gente del nord’), il primo a partecipare a una coppa europea e il primo a vincere il campionato. Quest’ultimo evento si è verificato nel 2020 – al termine di una stagione in cui la squadra era stata indicata dagli addetti ai lavori quale principale candidata alla retrocessione – e poi si è ripetuto nel 2021, nel 2023 e nel 2024. Avanzò poi fino ai quarti di finale di una coppa europea, la Conference League 2021-22, eguagliando il Rosenborg che nel 1996-97 arrivò ai quarti di Champions. Competizione ovviamente non paragonabile, ma non lo è nemmeno il divario che separa oggi l’élite del calcio europeo da quello di seconda o terza fascia. Il Bodø/Glimt ha scritto un pezzo della sua storia battendo 6-1 in casa la Roma, squadra il cui giocatore meno pagato guadagnava più dei 13 giocatori più pagati del Glimt. La simbiosi con la città la si è vista anche recentemente all’Old Trafford, nel match dei gironi di Europa League contro il Manchester United, quando erano presenti 7’500 spettatori ospiti, vale a dire il 15% della popolazione cittadina. Tracce della passione per i colori gialli e neri si trovano pressoché ovunque, anche fuori dalle chiese, specialmente nel giorno della partita.
I giocatori hanno un luogo di ritrovo per la colazione, attorno alle 11 di mattina, in un bar frequentato da tifosi e appassionati, senza particolari filtri. Amahl Pellegrino è uno dei giocatori emersi in maniera più brillante nelle ultime stagioni ed è stato protagonista di un esempio di come a Bodø il calcio si incrocia con la cultura e società. L’attaccante di origini tanzaniane, che lo scorso anno ha lasciato la Norvegia per la Mls americana, ha scritto un libro in cui racconta la sua storia di figlio di immigrati, contrassegnata da una serie di drammi: povertà, razzismo, depressione, perdite famigliari, tutti combattuti e superati grazie al pallone. Intitolato “Fotballproff mot alle odds” (Calciatore contro tutti i pronostici), il libro è stato scelto dal governo norvegese quale esempio di riscatto sociale ed è stato destinato a un massiccio acquisto di copie da elargire a tutte le biblioteche dello stato, col patrocinio della famiglia Berg, a Bodø chiamata la famiglia reale per le sue radici affondate nella storia del club.
Il 27enne centrocampista Patrick Berg, in squadra da oltre dieci anni, è il sesto membro dei Berg a militare nel club, per una dinastia che annovera quattro generazioni di calciatori. Ad Harald hanno dedicato una statua perché è stato il primo giocatore dell’area del Nord-Norges a essere convocato in Nazionale e il primo a diventare professionista, grazie a un tirocinio a Londra che gli permise, con l’aiuto della Federcalcio norvegese, di allenarsi nel dopo-lavoro con l’Arsenal. Ha affrontato il Barcellona in Coppa delle Coppe (con il Lyn Oslo, in un doppio confronto giocato al Camp Nou perché in inverno le condizioni ambientali nella capitale norvegese erano proibitive), affrontato Johan Cruijff nella Eredivisie olandese (con il Fc Den Haag) e poi è tornato a casa per chiudere la carriera.
Freddy Toresen, giornalista del quotidiano locale Avisa Nordland che da anni segue il Glimt, sostiene che una storia come quella del Bodø/Glimt potrebbe avere luogo ovunque. «Il merito principale va ascritto al nostro allenatore, Knutsen, che ha studiato calcio all’Ajax per poi prendere la sua via. Ha costruito qualcosa di grandioso, con allenamenti brevi ma molto intensi, tutti con la palla, con numerosi esercizi di posizione e tanta attenzione agli spazi. Però rimane il concetto che con il sostegno interno, della società e dell’ambiente, si può avere successo in qualsiasi club. Se vogliamo proprio trovare un segreto al Bodø/Glimt, è la simbiosi tecnica, organizzativa e ambientale che si è creata».
Knutsen non ha lasciato nulla al caso, curando tutti i dettagli, compresi quelli psicologici. Un esempio è arrivato dall’ingaggio come mental coach di Bjørn Mannsverk, un ex pilota di caccia con all’attivo missioni in Libano e Afghanistan, dove in qualità di comandante ha dovuto confrontarsi con gli elevati livelli di stress delle proprie truppe. Mannsverk, che di calcio ne sapeva poco, ha introdotto i suoi metodi nella squadra. «È stata un’altra intuizione di Knutsen – prosegue Toresen, – quella di introdurre un nuovo modo di pensare. Non si parla di punti o di risultati, ma di prestazioni, di crescita, di gioco. Lui ama dire: quando abbiamo smesso di parlare di vincere, abbiamo cominciato a vincere». Quando il citato Rosenborg dell’età dell’oro targata Nils Arne Eggen dovette salutare il proprio allenatore, gradualmente si sgretolò, tanto da perdere lo scettro di squadra regina di Norvegia, oggi saldamente nelle mani del Bodø/Glimt. Accadrà lo stesso al momento dell’addio di Knutsen? «È più difficile. Siamo in un circolo virtuoso a livello finanziario, stiamo costruendo un nuovo stadio e le idee di Knutsen sono state implementate a ogni livello, partendo dalle giovanili. Le trasferte dei club europei qui a Bodø credo dureranno ancora molto tempo».