L'allenatore argentino, malato da tempo, aveva 85 anni. Benché critico nei confronti della dittatura, ebbe la fiducia di Videla
Se n’è andato el Flaco Menotti, e la notizia è di quelle che non possono lasciare indifferente alcun appassionato di pallone, e in special modo chi ha ormai superato i cinquant’anni. Parliamo infatti del tecnico capace di regalare all’Argentina il suo primo titolo mondiale, nel torneo casalingo del 1978, nel pieno della dittatura. Gli avevano affidato la panchina dell’Albiceleste dopo i Mondiali del ‘74, per l’ennesima volta deludenti per la Seleccion. Aveva trentasei anni e aveva portato l’Huracàn a vincere il campionato, dopo quasi mezzo secolo di digiuno. Da Ct ottenne subito buoni risultati e svezzò alcuni fra i migliori talenti del Paese. Ma c’era un problema: era di sinistra, e quando venne il 1976 Menotti pareva naturalmente destinato a perdere l’incarico.
Era, però, un ’compagno’ sui generis, e in realtà il suo modo di condurre il gruppo – e il suo credo tattico – ai membri delle Junta militare guidata da Videla non dispiacevano affatto. El Flaco credeva infatti in uno stile di gioco rigidamente autoctono, non gli piaceva nessun modello in voga in quegli anni nel resto del mondo, nemmeno l’immaginifico Calcio totale olandese, che incantava invece un po’ tutti. Oltretutto, decise di convocare solo chi giocava in patria, chiudendo le porte ai ‘mercenari’ che erano andati a cercare plata all’estero. Eccezion fatta per il provvidenziale Mario Kempes, stipendiato dal Valencia. Anche sul piano dialettico, Cesar Luis Menotti ci sapeva fare, eccome: chiamava il suo gioco Defensa del estilo argentino, e definiva Proceso il suo lavoro con la Nazionale, la stessa parola con cui Videla e i suoi compagni di merende avevano battezzato la loro missione politica, cioè Proceso de reorganizacion nacional. E così il Flaco rimase al proprio posto e preparò la sua squadra per una Coppa del mondo che non solo andava organizzata, ma pure vinta, tassativamente. E lui, con l’ultima scrematura prima del torneo aveva escluso Diego, diciassette anni e mezzo, dalla rosa mundialista, contro il parere di tutti e ovviamente pure contro logica.
Per Maradona fu la più grande delusione della carriera, Menotti invece venne giustamente ripagato con gli interessi dalla buona sorte, che forse aveva apprezzato l’azzardo di quel visionario e vincente allenatore filosofo che alzò una Coppa – parecchio chiacchierata – ma proprio per questo importantissima nella storia del calcio. Bon viveur e lettore attento oltre che tecnico non certo banale, Menotti ha lasciato segni e significati ovunque abbia allenato, al di là e al di qua dell’Atlantico.