Chiusa la carriera professionistica, Gaëlle Thalmann da qualche giorno è responsabile del movimento femminile in seno alla società bianconera
La carriera di un calciatore può essere raffigurata da una rete di strade. Un intreccio di arterie, spesso trafficato, ma pieno di (piacevoli) sorprese. Non fa astrazione Gaëlle Thalmann. Da poco ritiratasi dalle competizioni, chiuso allo stadio degli ottavi di finale il suo ultimo Mondiale da primattrice, la 37enne ha tappezzato di puntine il mappamondo. Thun. Duisburg. Firenze. E Siviglia. Un girovagare che ha permesso alla natia di Bulle di scoprire nuove culture nonché imparare differenti lingue: «I quattro grandi tornei a cui ho partecipato grazie alla Nazionale e militare in altrettanti campionati è stato incredibile. Sono comunque encomiabili anche le esperienze cosiddette extracalcistiche. Ho conosciuto persone fantastiche», fra cui spicca il nome del compianto Louis Gavillet. Il fondatore del campo dedicato ai portieri di Charmey (Friborgo) è stato uno dei primi a credere nelle potenzialità dell’ex Betis, augurandole di calcare il manto erboso del Camp Nou in una lettera inviata ancora prima del suo esordio in rossocrociato. La romanda non ha mai infiammato la folla dell’impianto di Barcellona, ma ha calpestato l’erba di alcuni dei più caratteristici stadi del pianeta. E, infatti, ben incarna la crescita esponenziale del panorama femminile. «Da bambina correvo spalla a spalla con i maschi perché nella mia regione non c’erano squadre formate solo da ragazze. C’era la Nazionale, ma non ero al corrente della sua esistenza. La copertura mediatica era pessima in confronto a oggi. All’età di circa tredici anni ho lentamente iniziato a scoprire il calcio muliebre. Da piccola speravo anch’io di militare in Prima squadra, in quella maschile. Era normale! Per fortuna è cambiato tutto, c’è più visibilità: ora esistono referenti di sesso femminile. E le ragazze hanno la possibilità di sognare in grande. Per una bambina è importante avere idoli così da potersi identificare».
Da inizio settembre è operativa a Lugano in qualità di responsabile del movimento femminile e funge quale preparatrice dei portieri in seno al Team Ticino. La strada imboccata da Gaëlle ha nuovamente incrociato (forse la più celebre sono i quarti di finale di Coppa Svizzera contro il Balerna) le nostre latitudini. «Non era una priorità che il calcio rimanesse il fulcro della mia vita... Credo sia naturale. Ho lavorato presso l’Associazione svizzera di football e nel dipartimento comunicazione del Ginevra, dunque è un ambiente che conosco forse meglio di altri. Nessuno esclude che in futuro potrei scegliere un’altra strada. Ora sono contenta della mia scelta». Ma come mai la città sulle rive del Ceresio? L’ex Betis è (da sempre) innamorata del nostro cantone in quanto «amo il bel tempo e la mentalità latina. A differenza di contatti intrapresi con altre realtà sportive rossocrociate, inoltre, l’Fc Lugano mi ha proposto la combinazione ideale: la possibilità di sviluppare qualcosa di concreto nel calcio femminile e, allo stesso tempo, di rimanere in campo e allenare». La società è stata interessata da una mini rivoluzione in questi ultimi anni confermando tuttavia la volontà di incentrare questa offerta sulle ragazze domiciliate nella regione. «Il club è in fase di crescita, far parte di questo processo è un privilegio. C’è una base fondata sul calcio femminile, ma rimane ancora tutto da scrivere. È una sfida che spero di riuscire a risolvere». La 37enne non si è ancora fatta un’idea concreta del panorama ticinese. «Ho effettuato le mie ricerche e analisi; in passato ho comunque già avuto modo di conoscere le realtà cantonali grazie a un progetto lanciato dall’Asf, di cui ero responsabile. Sarà necessario tempo, prima di riuscire a sviluppare un piano d’azione e imparare a lavorare in ufficio. Non sarà facile staccarmi dalla componente giocata. La preparazione estiva, però non mi manca».
Il bacino alle nostre latitudini è piuttosto ridotto, eppure il movimento cantonale può annoverare molte calciatrici nelle selezioni giovanili della Nazionale elvetica. «È tuttavia necessario raggiungere tutte le ragazze che desiderano giocare a calcio e, soprattutto, fornire loro questa possibilità. In Ticino non è ancora il caso: per ottimizzare il calcio d’élite è imprescindibile aumentare il numero di tesserate in tutto il cantone. E che la nostra Prima squadra risalga (a medio-lungo termine) in Lega nazionale B in modo da offrire uno sbocco. L’obiettivo prioritario non sarà ancora la Super League». La collaborazione instaurata con il collettivo maschile ricopre un ruolo assai importante. «È fondamentale mantenere un’identità comune, più luganese e ticinese». L’ex portiere rossocrociato è una fonte di ispirazione per molti giovani, ma «spero che le ragazze non inizino a giocare solo perché ci sono io – ride -. Il motore del praticare un’attività sportiva è la passione, la gioia di condividere questo momento con un’amica. Se qualcuno s’innamora di parastinchi e tacchetti grazie alla mia figura, ben venga; sono rimasta me stessa, chiaro, è motivo di orgoglio quando una ragazza (o un ragazzo) sono felici di ammirarmi in campo». La 37enne è una persona di riferimento, al pari di altre rossocrociate, e questo significa «che il nostro panorama ha fatto un enorme passo avanti. Da piccola esisteva ‘solo’ il calcio maschile; che sia Gianluigi Buffon, Francesco Toldo o Gianluca Pagliuca» anche se precisa non è juventina. A dimostrazione di questo progresso l’Europeo, che nel 2025 avrà luogo in Svizzera. «Questo non mi ha fatto cambiare idea: ho riflettuto sulla possibilità di non ritirarmi in quanto giocare dinanzi ai propri tifosi è qualcosa di particolare, ma l’età avanza. Sono comunque felice di poterlo seguire da telespettatrice». L’attenzione mediatica è ormai sempre più crescente, «c’è molto più interesse. E, ciò, si riflette sulla qualità messa in campo». Dei progressi tecnici, in passato anche a Lugano, oscurati da vicende extracalcistiche. «È un processo che deve coinvolgere tutta la società perché, come spiegato dal segretario generale dell’Asf, la rassegna non è un torneino per squadracce. È un Europeo, che sia maschile o femminile merita la nostra priorità». Thalmann non ha infine mancato di condannare fermamente il comportamento del presidente della Federcalcio spagnola, Luis Rubiales. «Quando un capo bacia una sua dipendente sul luogo di lavoro si ha un chiaro abuso di potere».