Il popolo bianconero si è mosso in massa per sostenere la propria squadra, impegnata fra pochissimo nella finale di Coppa Svizzera
Il clima è ancora piuttosto sommesso, attorniato da un silenzio quasi surreale. Tutto è fermo, in attesa del più insignificante segnale. La classica quiete prima della tempesta afferma qualcuno a pochissimi centimetri dal luogo in cui mi trovo. E, in effetti, appena lancio un’occhiata fuori dal finestrino scorgo una marea di persone. Che strano, mi dico, la stazione così affollata già di prima mattina. L’occasione dev’essere importante. Non riesco ad approfondire la questione che, eccoli, li sento incamminarsi e salire in carrozza. Un ragazzino munito di cappellino e maglietta si appoggia delicatamente su di me. Niente è più lo stesso. Giovani e adulti. Donne e bambini. I colori predominanti sono il bianco e il nero e, subito, la memoria richiama quella leggenda tramandata di sedile in sedile: cinquant’anni or sono, o quasi, un certo Simonetto Simonetti e il compagno di squadra Otto Luttrop permisero all’Fc Lugano di conquistare la Coppa Svizzera in quel di Berna. La nostra destinazione, in partenza!
Dei racconti narrati più e più volte anche da ‘aficionados’ come Emilio Locatelli e Roberto Conforti. La passione è ben percepibile. Non potevano dunque mancare questo ennesimo appuntamento con la storia. Il loro ritrovo è stato alle otto di mattina in Cima Piazza a Giubiasco per una bella colazione in compagnia… m’immagino pile di croissant alla marmellata, che bontà. «Da piccoli si cercava sempre un passaggio così da assistere alle partite casalinghe di Bellinzona e Lugano: se c’era un posto libero, spesso capitava sulle auto di tifosi bianconeri, ci intrufolavamo. D’altronde la Valle Morobbia è una roccaforte luganese. Quando ancora lavoravo in posta, e giocavano a Cornaredo, il mio sostituto era costantemente di turno – spiega ridendo Pimpi, com’è soprannominato Emilio –. Negli ultimi dieci anni, invece, se ho mancato una partita è cosa rara». Anche Roberto ha iniziato a seguire la squadra del cuore fin da tenera età grazie allo zio, ferreo sostenitore. Cinquant’anni fa, racconta, l’autostrada non era ancora stata realizzata, perciò si era chiamati a passare ore e ore in coda sul Ceneri a bordo di un maggiolino. Aaa, il Ceneri, quante volte ho percorso quella tratta. Tim tum tam. L'altoparlante annuncia che, finalmente, abbiamo superato il Gottardo. A tutta in direzione Arth Goldau. L’ambiente è sempre più caldo, infuocato. Fra un brindisi (rigorosamente di birra) e uno scambio di sorrisi, domina la scena un’alternanza di sciarpe e cori tant’è che, talvolta, riecheggia da uno scompartimento all’altro il ‘Forza Lugano’ intonato da giovani e meno giovani. Chi già incontrato l’anno scorso e, altri, nuovi. Ben dodicimila tifosi affolleranno la capitale. Un pellegrinaggio che dalle parti di Cornaredo non si era più contemplato ultimamente. Per la prima volta sarà presente anche il nipotino di Emilio, un bianconero di appena otto anni ‘scortato’ dalla madre. Già, perché la fede calcistica è qualcosa che si tramanda di generazione in generazione. «Ho cercato di trasmettere – continua il 67enne – questa mia passione. E, ora, è tutto beato». Il tifo, evidenzia Roberto, è cambiato rispetto ai tempi in cui 16mila, e più, persone assistevano alla stracantonale fra Bellinzona e Lugano, «ma Berna sentirà la nostra voce».
La locomotiva procede a passo spedito: quasi a Lucerna, ridestata dal calore del popolo bianconero, anch’io inizio a pensare alla Coppa. Emilio e Roberto raccontano che è la seconda finale consecutiva a cui assistono. «La speranza è di raddoppiare, ma, comunque, rimane un grande risultato quanto racimolato in stagione; dimostra l’ottimo lavoro effettuato dalla nuova dirigenza. Una grazie sempre, e comunque, ad Angelo Renzetti». Le emozioni sono parecchie, d’altronde sarebbe qualcosa di eccezionale ripetere l’exploit della scorsa edizione. «Le quotazioni prima erano 30-70%, ora, invece, siamo in totale parità. Siamo convinti, possiamo farcela. Non partiamo già sconfitti perché è lo Young Boys, ce la giochiamo ad armi pari», puntualizza Emilio. Dal canto suo Roberto è più cauto, non si lancia in pronostici, ma «in una partita secca può succedere di tutto. La compagine di Wicky è forte, ma lo era pure il San Gallo l’anno scorso eppure siamo riusciti a batterlo. Nelle ultime partite di campionato abbiamo giocato bene, imponendoci proprio sui neocampioni svizzeri». Le assenze, su tutti di Von Balmoos, Raccioppi e Itten, sono importanti, ma «hanno tanti giovani che saranno carichi e intenzionati a sfruttare questa possibilità per mettersi in mostra». Emilio, percepisco, ha una questione di famiglia in sospeso. Una sfida nella sfida, giacché il cognato è stato un giocatore della compagine bernese. Chissà che sfizio, che soddisfazione, riconquistare il trofeo. Manca sempre meno alla fine del tragitto. La ciurma sistema in fretta e furia calze, giacca nonché il particolare cappello abbellito da piume bianche, che, confida Roberto, lo indossano da parecchio. Non sono scaramantici, ma sperano continui ad essere un portafortuna. Fra il popolo bianconero spicca poi qualcuno di fede granata. Al di là dei colori, il Lugano in finale rappresenta il Ticino.
L’altoparlante effettua l’ultimo annuncio: eccoci a Berna. Il mio compito è finito, almeno per ora. Emilio, Roberto e compagnia bella sono pronti ad incamminarsi in direzione dello stadio. Io attendo di udire qualche commento. Lasciato alle spalle il variopinto corteo, sento in lontananza un ‘Non temiamo l’avversario, abbiam forza e volontà’ dei tifosi. Dalla stazione allo stadio è tutta una sequenza di colori e canti. La capitale ha un’identità camaleontica, specchio dei cambiamenti della società. Una caratteristica che la rende unica nel suo genere, difficilmente omologabile. La sua storia è comunque ben presente, anche nell’attuale impianto tornato a chiamarsi Wankdorf. Condannato alla demolizione nel 2001 per lasciar posto ad uno stadio più moderno, non tutta la struttura è crollata: tre piloni della luce e la tribuna principale, sì, ma un pilastro ha resistito alle detonazioni, come un’ultima vendetta del vecchio Wankdorf. Così da non rimuovere il peso della storia. E chissà quale storia racconterà questa finale. Sono in trepidazione, non vedo l’ora che inizi. Ma, nel frattempo, mi godo quello scambio di battute fra le tifoserie, e rispettivi fischi quando la squadra ‘nemica’ entra in campo. Poi, ad un tratto, sento esultare… La Coppa entra nell’impianto e, impresso nell’argento, rivedo il luccichio negli occhi di mister Croci-Torti appena conquistata la vittoria la passata edizione. Un trofeo che ha lasciato la cittadina sulle rive del Ceresio pochi giorni or sono e, tutti, sperano di rivedere presto. Una finale, rammento ancora le parole di Roberto, «è sempre qualcosa di spettacolare. Non capita tutti gli anni, anche se questo è il secondo di fila. Ma chissà quando sarà la prossima – ride –. È una festa del calcio: se vinciamo faremo ancora più festa, altrimenti saremo un po’ scornati ma non cambierà la vita. Il Lugano una finale l’ha già vinta». Attendo con trepidazione il loro ritorno per capire dallo sguardo l'umore e, in definitiva, il risultato… È proprio vero, il tifoso è il dodicesimo uomo.