Cronaca di un anno di felicità, dai fuochi d'artificio in campo di Kvara e Osimhen, a quelli sul Golfo la scorsa notte, dopo 33 anni di paziente attesa
La prima immagine è di qualche settimana fa – e pare già passato un secolo – c’è Zieliński che si lascia cadere sull’erba dell’Allianz Stadium dopo che (al minuto 92) Raspadori ha realizzato il gol della vittoria sulla Juventus. Il centrocampista polacco si lascia cadere e tutti i tifosi del Napoli – compreso chi scrive – si lasciano cadere insieme a lui, perché quella è una potente similitudine della felicità, ce lo ha insegnato Rilke, nelle Elegie Duinesi. Il grande poeta scrive: «E noi che pensiamo la felicità/ come un’ascesa, avremmo l’emozione/ che quasi ci smarrisce di quando cosa ch’è felice, cade», è questa l’ultima delle elegie ed è preziosa perché sovverte l’idea abituale che abbiamo del momento felice. Pensiamo alla felicità come qualcosa che ci innalza e invece – del resto prima di Rilke ce lo aveva insegnato anche Dante rispetto alla commozione – ci approssima all’abbandono, ci svuota delle forze, ci lascia cadere. Cadiamo con Zieliński, ci lasciamo andare e tocchiamo finalmente terra. Quell’istante, il breve scuotimento in cui la felicità si concede non possa avere luogo se non ci spogliamo di ogni resistenza. Lo sanno bene gli anglosassoni che per innamorarsi dicono fall in love, e la prima traduzione del verbo to fall è cadere. Anche quando ci si innamora si cade. Il numero 20 del Napoli cade libero e svuotato di ogni peso come un innamorato e noi con lui che tifiamo, ma tifare è un verbo restrittivo, amare è il verbo corretto. Raspadori segna e noi cadiamo e tutti i prati del mondo diventano azzurri.
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Il gol di Raspadori al 92’ contro la Juventus
La seconda immagine è del pomeriggio del 30 aprile ed è legata al gol di Olivera alla Salernitana, gol che per una manciata di minuti ha fatto pensare allo scudetto matematico qualche ora prima che si facesse maggio. Poi sappiamo come è andata, Dia, a sette minuti dalla fine ha realizzato una rete bellissima rimandando una parte – solo una parte – di festa. Però quel gol segnato da un terzino di Montevideo che indossa la maglia numero 17 sarebbe stato una pagina di letteratura sudamericana fatta e finita, degno di una pagina di Soriano, di Galeano o di chi altro ci viene in mente. Raspadori calcia dalla bandierina e Olivera prende il tempo a tutti e con un bellissimo colpo di testa segna. Il Maradona esplode, tutta la città lo segue, tutto il pianeta, ovunque si trovi una bandiera azzurra, da San Paolo a Buenos Aires, da Milano a Londra, da Dublino a Berlino, da Pechino a Tokyo, da Venezia – dove vivo – alla fine del mondo. Sono minuti di gioia pura che nemmeno il gol di Dia può cancellare, la può solo sospendere come di fatto avviene, fino a giovedì quattro maggio, giorno della partita Udinese-Napoli, giorno dello scudetto.
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Olivera festeggia il gol con la Salernitana. A rimandare la festa ci penserà però Dia.
La terza immagine è quella del gol di Osimhen alla Roma nella partita di ritorno, un gol che tiene a sé un sacco di cose, che hanno a che fare con il talento, la leggerezza, la consapevolezza della posizione del proprio corpo rispetto al campo, alla porta, ai compagni di squadra, ai difensori avversari più vicini. Mario Rui controlla, attira su di sé Cristante, e altri due romanisti nelle vicinanze. Aspetta che Kvara scatti verso la linea di fondo, il passaggio è preciso, perfetto. L’attaccante georgiano controlla una volta sola di sinistro e con lo stesso piede crossa benissimo sul secondo palo, qui la poesia avviene. Osimhen fa tre cose, ma in realtà ne fa molte di più, intanto sospende il tempo, e chiunque (tifoso del Napoli o meno) abbia visto la partita in diretta ha trattenuto il fiato perché il tempo così come lo conosciamo si è fermato e si è adeguato al tempo nuovo, a quella specie di ballo sul campo da calcio che ha fatto l’attaccante nigeriano. Tre cose, dicevamo. Stop di petto e nel frattempo spostamento del corpo verso destra, per predisporsi (ma quindi sapeva? Sì, i fuoriclasse lo sanno) al secondo movimento. Controllo col ginocchio destro, adeguando il corpo all’aria e all’erba, coordinandosi, a pochi metri dalla porta, stando in equilibrio, così da non perdere il senso del corpo, e della palla e della porta rispetto al corpo. Infine, fa un piccolo, quasi impercettibile saltello prima del tiro, e poi il calcio, fortissimo, di collo esterno e la palla che entra imparabile alle spalle di Rui Patricio. Tutto avviene in poche frazioni di secondo, gli bastano.
La quarta immagine è il gol di Kvaratskhelia realizzato al Maradona, nel girone di ritorno durante il match vinto dagli azzurri per 2-0 contro l’Atalanta. L’attaccante realizza il primo dei due gol ed è un capolavoro. I difensori coinvolti nell’azione sono sette, o forse otto, destinati a farsi meme e a restare nell’immaginario collettivo come le belle statuine o, peggio ancora, come quei tizi ridicolizzati da Kvara, abbattuti, saltati come birilli. Tutto parte dal consueto pressing aggressivo a centrocampo del Napoli, in cui l’esaltazione del singolo viene come conseguenza del perfetto gioco di squadra. Anguissa va in contrasto su Ederson, la palla va verso Osimhen, ecco l’innesco, uno dei più consueti di questa stagione. L’attaccante nigeriano, col solo modo di muovere il corpo tiene a distanza Demiral, se ne sbarazza, si accentra e appoggia in orizzontale verso Kvara che si sta muovendo dalla sinistra verso la parte più vicina all’area di rigore. Kvara si trova pochi metri fuori dall’area di rigore, il difensore più vicino a lui, quello che gli sta davanti, è Toloi. Demiral, Scalvini e De Roon recuperano, e poi più distanti arrivano anche Ederson (l’uomo che ha perso il contrasto con Anguissa) e Maehle. Sono sei, più il portiere sette. Poi se schiacciamo l’immagine, se la fermiamo possono sembrarci dieci, venti, tanti omini vestiti di bianco che non possono fare nulla. Osimhen, dopo l’appoggio, stranamente (o correttamente, vai a sapere) ha rallentato, si è quasi fermato, come a godersi lo spettacolo, avesse avuto una telecamera, ci avrebbe regalato un’altra inquadratura del gol pazzesco che gli stava capitando sotto agli occhi.
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La magia di Kvaratskhelia contro l’Atalanta
La quinta immagine è la città di Napoli e tutta la sua provincia che ha cominciato a colorarsi d’azzurro da gennaio, da febbraio. Qualcuno ha messo fuori la prima bandiera – quando il vantaggio sulle inseguitrici ha preso ad avere una certa consistenza – e il resto della gente ha proseguito, altre bandiere, striscioni, immagini dei calciatori, dell’allenatore, murales nuovi che si aggiungevano agli esistenti, come quelli di Kvara e Osimhen che andavano ad affiancarsi a quelli di Maradona. Palazzi che si tingevano di azzurro, perfino quelli in ristrutturazione. Scalinate ai Quartieri e in altre zone della città verniciate di bianco e di azzurro. Vespe e motorini azzurri, macchine azzurre, capigliature azzurre, terzo scudetto tatuato sulle braccia. Una squadra così leggera, armonica e forte da annientare ogni scaramanzia. Certo il corno negli zaini e nelle tasche lo hanno mantenuto tutti ma più per immagine che per altro. Nei vicoli è cominciata una processione infinita che di fatto ha dato inizio alla festa diversi mesi fa. Perché quando attendi per molti anni impari, impari a essere paziente e capisci per tempo quando l’attesa sta per terminare.
La sesta immagine è quella di un uomo che non c’è, mio padre, e con la sua quella di tutte le persone che non ci sono più perché 33 anni tra uno scudetto e l’altro sono troppi, sono una distanza che si fa fatica a misurare. Mio padre era un tifoso del Napoli, abbastanza atipico, non uno da stadio, e di certo uno che non si accalorava troppo per le partite, ne guardava anche poche senza di me, non gli interessava l’istante che non si potesse più condividere. Era felice, però, quando il Napoli vinceva anche perché sapeva quanto sarei stato contento io. Qualche giorno prima di morire mi disse che non si sarebbe mai aspettato di vedere il Napoli battere di nuovo la Juventus, e invece il meglio doveva ancora venire.
La settima immagine riguarda tutti quelli che hanno meno di 33 anni e questa storia l’hanno solo sentita raccontare. La memoria che si tiene viva – basti pensare al culto di Maradona – è meravigliosa, ma quello che diventerà ricordo e che comincia da ciò che stai facendo e che farai non somiglia a niente. La felicità è negli occhi dei ragazzi e dei bambini di oggi, che come il protagonista del film di Sorrentino, dal 4 di maggio 2023 hanno ’na storia a raccuntà.
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Una città (anzi non solo una) in festa
L’ottava immagine è quella del gol scudetto, quello vero. L’Udinese nel primo tempo ha segnato e il Napoli non ha brillato, agli azzurri basta un punto per la matematica e il punto arriva. Al minuto cinquantadue Elmas batte un calcio d’angolo, c’è una respinta della difesa, ci arriva per primo Anguissa che passa la palla rasoterra all’indietro, dal limite dell’area Kvara – ecco un altro che avrebbe meritato di segnare il gol decisivo – si coordina e calcia rasoterra verso la porta, Silvestri, il portiere dell’Udinese, respinge ma la palla non va troppo lontano, e sul pallone si fionda il numero 9 del Napoli che calcia forte e preciso, è rete. I tifosi azzurri presenti allo stadio impazziscono di gioia, succede uguale al Maradona, a Napoli partono i primi fuochi d’artificio. Osimhen e compagni vanno a esultare sotto gli spalti dove stanno i napoletani, è un momento stupendo, è il lavoro che restituisce la ricompensa. Osimhen nella foga del momento resta senza la mascherina portafortuna che forse si rompe, gioca per qualche minuto a viso scoperto, poi la sostituisce, meglio non sfidare troppo la sorte.
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Victor Osimhen ha appena segnato il gol che vale uno scudetto
La nona immagine è l’esplosione del capodanno mondiale da Napoli a ovunque. La festa siamo noi. La città si trasforma in un ballo totale dispiegato sulle strade da migliaia di persone azzurre, i fuochi di artificio sono una naturale estensione colorata della festa cominciata alcuni mesi fa. Si canta, si piange, si è felici. Napoli non ha più bisogno di riscatti, soltanto di gioire.
La decima immagine sono io che di notte cammino lungo le Zattere a Venezia e da lontano sento vicini tutti i miei amici, penso a tutto il tempo passato, faccio memoria e torno ragazzo, lo scudetto è una cosa giovane anche quando si sta invecchiando. C’è la luna piena, tra non molto sarà l’alba, posso tornare a casa.