Battuto il Covid-19, superato un infortunio muscolare, l'uruguaiano è l'unico superstite dell'ultima vittoria del Lugano a Berna (2-1 nell'aprile 2017)
In Svizzera ha trascorso quasi 20'000 minuti su un rettangolo verde (19'909 per la precisione), suddivisi in 248 partite (161 in Super e 87 in Challenge League) coronate da 33 reti (19 e 14) e 31 assist (20 e 11). Eppure, per Jonathan Sabbatini tornare a giocare, mercoledì sera al Kybunpark di San Gallo, è stato un po' come tornare a vivere, in questo crepuscolo di 2020 che sta mettendo tutti quanti alla prova. Il capitano del Lugano mancava all'appello dal 24 ottobre, data della sua ultima apparizione in campo, guarda caso contro il San Gallo. Subito dopo sono iniziati i guai, legati in particolare al Covid-19... «Sono stato messo in quarantena preventiva quando si è ammalato Bottani, in quanto avevo trascorso del tempo con lui. Pochi giorni dopo si è ammalata mia moglie e a quel punto ho capito che prima o poi sarebbe toccato anche a me. Per fortuna, essendo già in quarantena, non avevo avuto contatti con i compagni, i quali avevano potuto proseguire senza problemi gli allenamenti. Tre giorni dopo mia moglie, sono arrivati i primi sintomi. Devo ammettere che è stata piuttosto dura, niente a che vedere con una normale influenza: ho peso tra i 4 e i 5 kg perché non ho potuto alimentarmi in maniera corretta».
Battuto il Covid-19, l'infortunio... «Che, di fatto, è strettamente legato al virus. Infatti, quando ho ripreso l'allenamento mi sono strappato al quadricipite della gamba destra. Sono bastati una manciata di minuti e uno scattino di cinque metri. Evidentemente, la mia testa era pronta al rientro, ma il corpo ancora no. Peccato, perché senza l'infortunio mi sarei potuto allenare in modo diverso e oggi sarei più pronto e maggiormente utile alla causa. Comunque, ora mi sento bene e ho ripreso i chili persi. E sono molto contento di essere finalmente tornato a giocare: stavolta non ho forzato i tempi del recupero e tutto è andato bene».
In questo Lugano, forzare il recupero non è più necessario: il gruppo ha dimostrato di poter sopperire ad assenze che, per quanto importanti e numerose, non destabilizzano la squadra... «È vero, in passato mi era capitato di dover accelerare i tempi perché la necessità lo imponeva. Adesso, il livello della rosa si è considerevolmente alzato e i ragazzi stanno disputando una grande stagione. Merito da suddividere tra loro e uno staff tecnico in grado di far sentire ogni singolo elemento importante ai fini del raggiungimento di un obiettivo. Tutti, in un modo o nell'altro, trovano lo spazio necessario a esprimere le loro qualità e i risultati lo stanno a dimostrare. Il calcio è una ruota che gira, a volte occorre avere pazienza, perché con pazienza e lavoro ognuno avrà la propria chance. È il messaggio che noi “vecchietti” cerchiamo di far passare ai giovani, i quali a volte sono i più insofferenti verso certe dinamiche di spogliatoio».
Domani sera, il Lugano sarà di scena al Wankdorf contro la prima della classe. Ai bianconeri lo stadio bernese ha regalato più di una soddisfazione: dal ritorno in Super League hanno raccolto quattro vittorie e un pareggio in dieci sfide, come dire che nella metà dei casi sono tornati in Ticino con un risultato positivo. L'ultimo successo risale al 23 aprile 2017, quando i ragazzi dell'allora mister Paolo Tramezzani si erano imposti 2-1 con reti di Alioski e Sadiku. Dei 18 uomini che intrapresero quella trasferta nella Capitale, l'unico ancora presente è proprio Jonathan Sabbatini, il quale si appresta a disputare la sua undicesima partita al Wankdorf con un Lugano in possesso di una consapevolezza maggiore rispetto a tre anni fa... «Va però detto che anche quella squadra era forte e davanti avevamo un terzetto in grado di fare la differenza. Con Alioski, Sadiku e Mariani andavamo sul sicuro. A ogni modo, pure nelle ultime esibizioni a Berna abbiamo sempre dimostrato di essere una squadra difficile da superare. L'ultima sfida era finita 3-0 per loro, ma due gol erano nati da autoreti. D'altra parte, il calcio è fatto di episodi e la partita di mercoledì a San Gallo lo dimostra: tante occasioni da ambo le parti, ma per un motivo o per un altro, nessuna rete. Una cosa è certa: a Berna dovremo approfittare meglio delle possibilità che ci creeremo».
Il tasto dolente è sempre il medesimo: il Lugano costruisce molto di più di quanto riesca a concretizzare... «Il fatto di creare è importante, perché significa che il gioco si regge su fondamenta solide. Dobbiamo però trovare il modo di compiere l'ultimo step, avere una percentuale realizzativa più alta rispetto a quella attuale».
Uno scalino in più che permetterebbe ai bianconeri di guardare oltre la siepe e ambire a qualcosa di più della “semplice” salvezza... «Non dobbiamo mai dimenticare un punto di partenza fondamentale: la Super League conta appena 10 squadre e se ci basiamo su quanto successo negli ultimi anni, ritengo che non sia affatto fuori luogo l'idea di dover innanzitutto timbrare la salvezza. Tranne Young Boys, Basilea e, lo scorso anno, San Gallo, tutte le altre si ritrovano regolarmente nelle ultime giornate a giocarsi la permanenza al sole. È sempre stato un campionato strano e lo è anche quest'anno, molto equilibrato nonostante il numero di partite giocate non sia lo stesso per tutte le squadre. E se riuscissimo a battere l'Yb, l'equilibrio si accentuerebbe ulteriormente. Sappiamo che più punti facciamo, più si avvicina il momento in cui potremo iniziare a pensare a un obiettivo più alto di una salvezza a quel punto acquisita. Lo scorso anno abbiamo dato il massimo per riuscire a tornare in Europa e ci siamo andati vicinissimi. Quest'anno, se continuiamo a giocare su questi livelli, possiamo riprovarci. Ma soltanto dopo esserci assicurati un posto in Super League anche per il prossimo anno».
Mancano due partite al termine della prima fase di una stagione molto particolare... «È stata strana per noi, come lo è stata per le altre squadre. A parte lo Young Boys, tutte sono state sottoposte, in forma più o meno diversa, alla quarantena. Paradossalmente, a noi questa situazione ha fatto bene, ha tenuto il gruppo molto unito e positivo, al di là dei casi di infezione con i quali siamo stati confrontati. E lo staff è riuscito a far passare quel messaggio di sacrificio e umiltà che ci sta facendo compiere il salto di qualità. I presupposti a livello di valore del gruppo ci sono tutti, non possiamo nasconderci e i risultati lo testimoniano. Credo mancasse soltanto quella fiducia in noi stessi che Jacobacci e i suoi collaboratori sono riusciti a infonderci».