Calcio

Uno stop all'Europa che non va giù al Manchester City

Da domani a mercoledì il club inglese deporrà davanti al Tas per chiedere l'annullamento della decisione presa dall'Uefa in prima istanza

Mister Guardiola (Keystone)
7 giugno 2020
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Da domani a mercoledì, il Manchester City giocherà una partita molto importante: il club inglese contesterà il suo divieto biennale di partecipare alle coppe europee per aver violato le regole del fair play finanziario davanti al Tribunale arbitrale dello sport (Tas), un'udienza in videoconferenza. La società aveva infatti deciso di appellarsi contro la decisione adottata in prima istanza dalla Commissione di controllo finanziario dello scorso 14 febbraio, che gli aveva pure inflitto una multa di 30 milioni di euro.

L'udienza, che si tiene a distanza a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia di coronavirus, aprirà domani alle 9, e durerà fino a mercoledì sera. Nessun verdetto sarà emesso immediatamente dopo l'udienza. In ogni caso il verdetto non sarà emesso nei prossimi giorni: la decisione «potrebbe essere resa nota nel corso del mese di luglio», spiega il segretario generale del Tas Matthieu Reeb. Dovesse essere sfavorevole al City, il club potrebbe acora appellarsi, in ultima istanza, al Tribunale federale di Losanna.

Sopravvalutazione delle entrate da sponsorizzazioni

C'è un precedente: un'altra potenza europea in passato era già stata esclusa dalle competizioni continentali per non aver rispettato le regole del fair play finanziario: il Milan, che nel giugno del 2019 si era visto confermare dal Tas la decisione presa in prima istanza e che venne escluso dai tornei continentali per la stagione 2019/20.

Il Manchester City era stato sanzionato per aver sopravvalutato le entrate derivanti dai contratti di sponsorizzazione per il periodo tra il 2012 e il 2016. Le perdite finanziarie derivanti da un'assenza dal palcoscenico europeo supererebbero di gran lunga i 100 milioni di euro (110 milioni di franchi) all'anno e non sarebbero prive di conseguenze per lo stile di vita del club, tanto più che la Champions League funge da importante vetrina per i proprietari della città di Emirati. Il divieto di poter calcare i palcoscenici europei sarebbe un brutto colpo per i 'Cityzens', attualmente secondi in Premier League, con 25 punti di ritardo sul leader Liverpool ma con 4 lunghezze di margine sul Leicester e 9 sul Chelsea.

Subito dopo l'annuncio della sua esclusione dai tornei continentali, il club aveva bollato come 'di parte' la risoluzione adottata dall'Uefa. Pochi giorni dopo, Ferran Sorian, il presidente della holding che controlla il club, aveva detto che la decisione sembrava «meno di giustizia e più di politica».

Se la sentenza venisse confermata, il potere finanziario del club subirebbe un duro colpo. La scorsa stagione, per la sola Champions League erano confluiti nelle casse soceitarie non meno di 93 milioni di euro, per non parlare dei ricavi delle partite e delle sponsorizzazioni. Ma il rischio è anche il possibile declassamento che deriverebbe da un'assenza anche temporanea dalla scena continentale. «Se non mi licenziano, resterò qui al 100%, più che mai - aveva tenuto a sottolineare l'emblematico allenatore spagnolo Pep Guardiola pochi giorni prima della vittoria di andata degli ottavi di Champions League (2-1) sul Real Madrid a Santiagio-Bernabeu a inizio di febbraio. Poi, però, le competizioni sono state fermate dallo stop decretato a seguito della pandemia di coronavirus.

Se Pep Guardiola non intende muoversi da lì, alcuni altri protagonisti del City potrebbero pensarla in modo diverso. Come Kevin de Bruyne: «Il club ci ha detto di essere quasi sicuro al 100 per cento di avere ragione (...). Mi fido della mia squadra», raccontava il belga a un quotidiano fiammingo a inizio maggio. Prima però di chiarire che se la pena non verrà ridotta, potrebbe anche prendere in considerazione altri lidi: «Due anni (senza l'Europa) sarebbero lunghi, ma se si tratta di un anno, vedremo».