Il safety di Buffalo, vittima il 2 gennaio di un arresto cardiaco, è tornato a Cincinnati e ha ritrovato i medici ai quali deve la vita
Per la National Football League, il 2023 era iniziato sul bordo della tragedia. Il 2 gennaio, infatti, il safety di Buffalo, Damar Hamlin, era rimasto vittima di un arresto cardiaco nel corso della sfida contro Cincinnati. Era stato rianimato direttamente in campo, poi trasportato all’ospedale universitario di Cincinnati, dove i suoi parametri vitali erano stati stabilizzati. La Nfl aveva sfiorato la tragedia, ma alla fine tutto si era risolto in modo positivo, con la guarigione del giocatore. Il quale, domenica sera è tornato a calcare quella stessa erba sintetica del Paycore Stadium che nemmeno dieci mesi fa lo aveva visto a un passo dalla morte (nota a margine: come era bello quando gli stadi si chiamavano Three Rivers, Mile High, Candlestick Park e quello dei Bengals era il Paul Brown Stadium, in onore del fondatore della franchigia. Adesso, invece, portano tutti il marchio di grandi investitori, disposti a pagare milioni, ma il cui nome non regala un briciolo di poesia). Hamlin, a dire il vero, domenica non è sceso in campo: figurava, diciamo così, tra i non convocati. Tuttavia, ha viaggiato con la squadra e al momento del riscaldamento è comunque entrato sul terreno da gioco per andare a salutare alcuni degli avversari che già c’erano dieci mesi fa, in particolare il ricevitore Tee Higgins, vale a dire colui sul quale aveva effettuato il placcaggio subito prima dell’arresto cardiaco. Sabato sera, inoltre, il 25enne prodotto della Pittsburgh University ha invitato a cena in una steakhouse di Cincinnati i dieci medici e sanitari che con il loro immediato intervento lo avevano letteralmente strappato dalle braccia della morte. In questi ultimi dieci mesi, Hamlin ha inoltre dato vita a una borsa di studio, che porta il nome di tutti e dieci i suoi “eroi”, come li ha definiti su X, grazie alla quale ogni anno dieci ragazzi disagiati di Cincinnati riceveranno un aiuto per accedere al sistema scolastico, dai licei alle università.
Da inizio stagione, Hamlin ha preso parte a una sola partita di Buffalo, la vittoria 48-20 contro Miami lo scorso 1° ottobre. Ciò nonostante, in estate il lavoro non gli è mancato. Oltre alla riabilitazione e all’allenamento per tornare a essere un professionista di football, si è impegnato in un tour al fianco, della American Heart Association, con il quale ha toccato Buffalo, Pittsburgh e Cincinnati per impartire lezioni sulla rianimazione cardiopolmonare e per distribuire defibrillatori a numerose associazioni sportive giovanili.
Seduto comodamente in panchina, domenica sera Hamlin non ha potuto aiutare i suoi Bills a evitare la quarta sconfitta stagionale, per un record di 5-4 che se la stagione finisse oggi li porrebbe fuori dai playoff. Sull'altro fronte, dopo una partenza stentata (0-2, poi 1-3), i Bengals sembrano finalmente aver ingranato la marcia giusta, sulle ali di un Joe Burrow rimessosi dall’infortunio al polpaccio che ne ha pesantemente condizionato la prima parte di stagione. Le quattro vittorie consecutive (in particolare le ultime due contro San Francisco e Buffalo) certificano di una squadra ritrovata e da tenere in considerazione per la post season.
Ma la compagine del momento sembra essere Baltimore: nelle ultime tre settimane, i Ravens hanno superato Detroit e Seattle (due tra le migliori compagini della Nfc) con uno score complessivo di 75-9. Domenica hanno totalizzato 515 yarde di total offense contro le 151 dei Seahawks, con 298 su corsa (contro le 28 degli avversari) e 217 di passaggio. Con un reparto corse di questo spessore, il quarterback Lamar Jackson non ha neppure avuto la necessità di fare gli straordinari (nessun touchdown e nessun intercetto), ma ha potuto limitarsi a dissezionare con chirurgica precisione (21 su 26 più 60 yarde di corsa) la difesa avversaria. Con un attacco di tale fatta e una difesa seconda soltanto a quella di Cleveland (3. sui passaggi, 12. sulle corse e prima sui punti concessi), Baltimore può legittimamente aspirare a diventare la candidata numero uno al posto riservato all’Afc per il Super Bowl di Las Vegas. Ancor più di Kansas City, con il quale condivide il miglior record della Conference (7-2). I Chiefs, infatti, hanno faticato a Francoforte per battere Miami e, dopo aver dominato il primo tempo (21-0), sono stati dominati nel secondo (nessun punto messo sul tabellone e nessun terzo down convertito). Una curiosità? A decidere la partita è stato Tyreek Hill, grande ex di Kansas City, il quale si è fatto strappare dalle mani un pallone poi ritornato fino in endzone per il touchdown che ha fatto la differenza nel 21-14 finale. Il Ghepardo è stato una volta di più decisivo, ma dalla parte sbagliata.
Nella Nfc prosegue la cavalcata solitaria di Philadelphia che continua a vincere nonostante convinca meno di quanto il suo record (8-1) lasci intendere. Contro Dallas, è arrivata a 4 yarde dalla sconfitta, quelle che hanno separato Ceedee Lamb dalla endzone a due secondi dal termine. Alla fine, i Cowboys hanno macinato 114 yarde di total offense in più (oltre 150 su passaggio), ma per imporsi gli Eagles non hanno nemmeno dovuto ricorrere al loro famoso “tush push”, il quarterback sneak che da quando Jalen Hurts ha assunto il comando dell’attacco, ha portato a 49 primi down in 55 tentativi, una percentuale assurda dell’89,1%. Contro i Cowboys è stata utilizzata soltanto tre volte (due terzi e un quarto down), con altrettanti primi down conquistati. Un’azione che molti tifosi delle altre squadre vorrebbero vedere resa illegale, come lo era prima del 2005, anno in cui la lega ha cancellato dal libro delle regole la proibizione di spingere un giocatore d’attacco per guadagnare più terreno. Come ha detto coach Sirianni, «per noi un primo down equivale sempre a un primo e nove». Come dargli torto?