laR+ Ironman

‘Etica e approccio spesso sbagliati’

Dopo la morte di due atleti durante una gara di Ironman, l’esperto Igor Nastic ci spiega filosofia e reali rischi di questo sport davvero durissimo

22 agosto 2023
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La tragica notizia dei due atleti morti durante la parte di nuoto della competizione di ironman svoltasi nel weekend a Cork, in Irlanda, dopo aver scioccato e commosso tutti, ha dato la stura a un’infinità di commenti di ogni genere circa la reale pericolosità di questa disciplina, da alcuni considerata soltanto una follia da irresponsabili.

Per fare un po’ di chiarezza, e per non lasciarci condizionare dalle opinioni di chi magari di questo sport non sa nulla, ci rivolgiamo a Igor Nastic, che a livello ticinese e svizzero – per aver gareggiato a lungo ad altissimi livelli – ha senz’altro voce in capitolo.

«Cifre alla mano», esordisce, «è molto più pericoloso pedalare su una strada trafficata e piena di automobilisti distratti. E poi, su cosa sia davvero la pazzia si potrebbe discutere a lungo. Certo fa impressione che una tragedia simile sia capitata lo stesso giorno a due atleti nel corso della stessa gara. È più facile comunque che una tragedia si verifichi durante manifestazioni a partecipazione popolare, come ad esempio le traversate che si effettuano sui nostri laghi, perché – tolti alcuni atleti veri – vi prendono parte persone molto meno allenate di chi fa ironman, che in genere è preparatissimo. Non conosco bene i dettagli di ciò che è successo in Irlanda, ma penso di poter dire che si sia trattato di sfortuna all’ennesima potenza».

La meteo aveva già costretto gli organizzatori ad accorciare la tratta a nuoto (le altre si compongono di 90 km in bicicletta e 21,1 km a corsa), dimezzandola di fatto dai soliti 3,8 km a 1,9 km, e ora qualcuno dice che quella parte andava cancellata del tutto...

In realtà, indossando la muta, puoi stare bene anche se l’acqua misura soltanto 16 o 17 gradi. E poi, prima di metterti a nuotare, hai sempre un po’ di tempo per immergerti e per prendere un po’ di confidenza con la temperatura. Da questo punto di vista, le condizioni sono molto più dure nella swim-run, ad esempio quella a cui parteciperà la nostra Sabina Rapelli fra un paio di settimane in Svezia. In quel caso lo choc termico è ben maggiore, perché ti tuffi in acqua dopo avere già corso. Personalmente, posso dire di avere avuto più problemi nelle acque calde – come ad esempio alle Hawaii – che in quelle fredde dov’è autorizzato l’uso della muta, proprio perché è più facile che sia il caldo a provocare svenimenti o malori. Resta il fatto che nell’ironman il nuoto sia in genere – fra le tre discipline – quella che piace meno.

Quale tipo di riflessione ti induce a fare una vicenda come questa?

Faccio un ragionamento di tipo etico: bisognerebbe evitare di mettere a rischio la propria vita soltanto per riuscire a portare a casa la medaglietta ‘finisher’ di una prova così dura. Ti devi preparare bene, durante dei mesi o addirittura per anni, devi inoltre sempre valutare il tuo stato psicofisico, devi ovviamente avere l’ok da parte di un medico e non puoi assolutamente improvvisare.

Negli ultimi anni, questa disciplina è diventata sempre più – diciamo così – di moda: non c’è il rischio che vi si avvicini anche qualcuno non preparato a dovere? Penso a quelli che si iscrivevano alle maratone nel Sahara e finivano per morire nel deserto, del tutto impreparati, perché credevano si trattasse di una specie di Camino de Santiago, e non competizioni riservate a pochissimi eletti.

Senz’altro negli ultimi anni abbiamo assistito all’affermarsi di una specie di culto dell’invincibilità che ha spinto molta gente a esagerare. Ora, ad esempio, tutti vogliono salire sull’Everest o sul K2 e pochi giorni fa abbiamo visto le immagini di un alpinista morto – o morente – che semplicemente veniva scavalcato da tutti quelli che lo seguivano, i quali volevano egoisticamente soltanto raggiungere il proprio obiettivo. Forse bisognerebbe rimettere in discussione questo genere di valori, sempre che di valori si possa parlare. Non sarebbe male se ci inventassimo piuttosto l’ironman dell’empatia, della generosità o dell’impegno sociale: lì sì che si potrebbe andare avanti fino allo sfinimento.

Qual è il tuo auspicio, oggi?

Spero che incidenti come questi non si rivelino dei deterrenti, e che l’immagine del nostro sport non ne risenta troppo, perché si tratta di una disciplina bellissima. Bisogna soltanto capire che l’importante – più che portare a termine la prova – è il percorso che si fa per conoscere e migliorare sé stessi. Il vero fascino sta nell’avvicinamento, più che nel raggiungimento della meta. E ricordarsi che, alle prime avvisaglie di malessere, è fondamentale fermarsi: è così che bisogna comportarsi in tutte le gare che mettono a dura prova la testa oltre al fisico.