Il ginevrino è passato da Houston ad Atlanta, ma il Covid è sempre il problema. 'Ogni giorno ci fanno il tampone, e dobbiamo aspettare in auto l'esito del test'
Ufficialmente era stato scambiato a febbraio, ma da quand'è passato da Houston ad Atlanta, con la maglia degli Hawks Clint Capela in campionato non ha ancora potuto giocare una sola partita. Totalmente rimessosi da quel fastidioso problema al piede, il ventiseienne cestista ginevrino non vede l'ora di poter iniziare una nuova vita. Lasciandosi il più presto possibile del tutto alle spalle dodici mesi fatti di 'bolle' e traslochi. «Voglio farlo da giocatore dominante, e a lungo, in una squadra vincente» dice il romando, che nell'ultimo campionato in Texas aveva totalizzato una media di 13,9 punti e 13,8 rimbalzi a partita.
Anche nella nuova stagione Nba, che aprirà i battenti martedì prossimo, tuttavia, il problema del Covid terrà banco almeno per un po'. «Per ora sono riuscito a evitare il contagio – spiega Capela –. Sono una persona molto prudente, ma non si può mai essere sicuri. Veniamo messi alla prova ogni giorno: quando arriviamo allo stadio per allenarci dobbiamo sottoporci al test del tampone, e dobbiamo restare in macchina per tre quarti d'ora in attesa di conoscerne il risultato».
Quella del vaccino, per ora, non è una soluzione. «Noi non siamo certo la priorità – aggiunge Capela –. Per prima cosa ci sono gli anziani e il personale medico. Però ammetto che se dovessero chiedermi di vaccinarmi per continuare a giocare, la cosa non mi dispiacerebbe. Nell'attesa, dovremo limitare il più possibile i nostri contatti, ben sapendo però che riprenderemo a viaggiare. Tuttavia ogni squadra avrà un ispettore, e verremmo multati qualora infrangessimo le regole».
Regole che, però, non sono poi così chiare. «Mi chiedo se ci permetteranno di uscire a fare un giro in centro quando arriveremo in questa o in quella città. È davvero un periodo complicato, perché non si può 'non vivere'».
Neppure ora che è arrivato ad Atlanta, Capela ha dimenticato la sua vita a Houston. «È casa mia, è la città che amo» aggiunge, spiegando che nel suo appartamento in Texas ci vive ancora la sua amica. «Nei weekend, però, ci vediamo».
A differenza della sua famiglia, che il ginevrino non vede da sei mesi. E non è facile, neppure quando si è pagati milioni di dollari per giocare a basket. «Presto dovrebbero riuscire a venirmi a trovare. Ma di questi tempi di tamponi e quarantene non so quanto sia bello doversi chiudere in casa. Onestamente, in questo momento ho soltanto voglia di cominciare questa stagione».
In una squadra sostanzialmente costruita attorno a un ragazzino di grande talento, Trae Young. «La nostra è una squadra giovane. Più di quanto non lo fosse quella di Houston. Ci manca esperienza, ma stiamo lavorando per trovare le alchimie. So che non sarà facile, ma faremo di tutto per arrivare ai playoff. E il sistema di gioco qui è diverso, rispetto ai Rockets in cui mi sentivo un po' solo».