TECNOLOGIA

Il metaverso, sogno oppure incubo?

Con la rubrica a cura dell’USI uno sguardo critico sul futuro preconizzato da Mark and friends

Il termine metaverso è ormai entrato a far parte del nostro universo, il gioco di parole è voluto. Eppure nessuno sa davvero di cosa si stia parlando quando si pronuncia questa parola. Il motivo è semplice. Il metaverso è qualcosa ancora molto lontano dall’esistere. È un’idea suggestiva più che un oggetto concreto e delimitato. Ci potremmo far guidare da chi ha coniato il termine, Neal Stephenson, che lo usa per la prima volta nel suo romanzo Snow Crash del 1992. Tuttavia, anche nel suo contesto originale non era chiaro cosa fosse davvero il metaverso. Non si davano indicazioni sul suo funzionamento se non accennando a una rete di computer nel deserto che lo manteneva attivo. Si parlava semplicemente di una realtà alternativa, un mondo dei sogni che i personaggi del libro frequentavano per fuggire dalle loro vite, troppo difficili o noiose. Sicuramente nella sua formulazione originale il metaverso ha un’accezione negativa. In Snow Crash, come in altre storie cyberpunk, incluso il film Strange Days di Kathryn Bigelow (1995), il metaverso si presenta come intrinsecamente pericoloso. Anche perché collegato a droghe digitali, come la Snow Crash che dà il titolo al libro di Stephenson, destinate agli abitanti di questo mondo virtuale e che hanno però effetti neurologici dannosi anche nel mondo fisico.
Del resto, anche se guardiamo all’origine linguistica del termine la sensazione che dovremmo essere più preoccupati che ispirati da questo concetto permane. In greco il prefisso meta (μετα) si riferisce alla trascendenza, ma ha anche un significato più prosaico: qualcosa al di sopra o al di là di qualcos’altro. Dunque, può essere collegato a concetti come la superiorità, il potere, la conquista. Rimanendo in questa accezione un metaverso è un universo, ma migliore, superiore. Migliore di cosa o superiore a chi è legittimo chiederselo.

Ma cosa dovrebbe essere?

Se dovessimo descrivere il metaverso con le informazioni che abbiamo oggi a disposizione parleremmo di un mondo fatto di infinite comunità virtuali interconnesse dove le persone possono incontrarsi, usare i social media, lavorare, fare shopping, giocare, fare un viaggio. Ma attenzione, non stiamo parlando di un mondo completamente virtuale come L’Oasis di Ready Player One. L’idea chiave del metaverso, che dovrebbe distinguerlo da tutto quanto abbiamo sperimentato fino a oggi, è quella di uno strato digitale, o una serie di strati, che si andranno a spalmare sulla realtà fisica. Qualcosa di molto più simile al concetto di realtà aumentata che giochi come Pokemon Go ci hanno fatto sperimentare in piccolo. Ecco allora che per entrare nel metaverso ci immaginiamo di usare il nostro smartphone piuttosto che caschi per la realtà virtuale, tute aptiche o i famigerati Google Glass. Quindi qualcosa di accessibile molto più facilmente e "naturalmente". Anche perché rispetto a giochi come Pokemon Go il metaverso prevede un continuo passaggio dal reale al virtuale e viceversa. Soprattutto prevede il fatto che beni acquistati nel mondo fisico siano utilizzabili in formato digitale nel metaverso e viceversa. L’aspetto commerciale del metaverso è centrale, in questo momento, al suo sviluppo.

Tra escapismo e interessi

L’idea di collegare la realtà tecnologizzata in cui viviamo a un sogno fantascientifico che ha il sapore della fuga è molto appetibile. Non a caso a portare all’attenzione del mondo il concetto di metaverso è stato Mark Zuckerberg, forse in uno dei momenti peggiori della sua carriera, sotto l’attacco di diversi soggetti e in caduta libera rispetto alla fiducia del pubblico nelle sue applicazioni social. Una via di fuga, in questo caso, è molto attraente e il recente cambio di nome da Facebook a Meta è sintomatico. Il metaverso promette di potersi lasciare alle spalle i fastidi del mondo fisico e partire per terre migliori, anche se virtuali. E queste terre sono ricche di opportunità soprattutto commerciali. I CEO delle grandi aziende tecnologiche sanno bene che passiamo gran parte del nostro tempo navigando sul nostro smartphone, comprando beni fisici, come vestiti e macchine, o coltivando e costruendo mondi digitali. Mondi in cui ogni casa può avere una piscina in giardino, ogni persona può indossare un abito di Valentino o frequentare lo stesso negozio, virtuale, di Chiara Ferragni. L’idea di metaverso vuole spingere l’acceleratore su questo tipo di dinamiche. Si tratta di uno spazio che incorporerà tutte le nostre attività reali o virtuali che siano, dallo shopping all’uso dei social, dal fare sport al giocare a Fortnite. Nel metaverso potremo andare a un concerto virtuale, fare un viaggio online e comprare e provare abiti digitali, ma potremmo anche lavorare da casa in modo più efficace: invece di vedere i colleghi su una griglia di videochiamata, potremmo incontrarli virtualmente in una bella e luminosa sala riunioni che si affaccia su un mondo futuristico, come ci ha mostrato Zuckerberg nel video di presentazione della sua idea di metaverso.

Il metaverso di ieri…

Abbiamo già avuto un assaggio di cosa potrebbe essere il metaverso grazie ad alcune tecnologie sviluppate nei primi anni 2000, ad esempio Second Life, di cui la versione Zuckerberg sembra un adattamento più moderno e sofisticato. L’esperienza creata da Linden Lab ha visto milioni di persone, ma anche centinaia di aziende, creare un’identità virtuale e muoversi in un mondo popolato da altri residenti. In Second Life lo scambio più o meno commerciale di beni e servizi era già fondamentale, ma la cosa più importante è stata il superamento della verticalità e competitività del gioco online, cosa che promette di fare anche il metaverso, perché in questo mondo virtuale non ci sono mai stati obiettivi o condizioni di vittoria. Almeno esplicitamente dichiarati.

… quello di oggi…

Abbiamo anche esempi più recenti di "pezzetti" di metaverso. Ad esempio aziende come Epic Games, che ha organizzato concerti all’interno del videogioco Minecraft, o come Roblox, che propone giochi dove i partecipanti producono e vendono contenuti digitali. Da parte sua Facebook possiede una società chiamata Oculus, che produce e vende computer e cuffie per la realtà virtuale e sta investendo molto anche sulla realtà aumentata, per sovrapporre elementi interattivi sul mondo reale visibili attraverso l’uso di dispositivi come occhiali o schermi. Le applicazioni di queste ricerche e sviluppi si sono viste molto, fino ad oggi, nella medicina e nell’architettura, ma l’idea di espanderle e di coinvolgere i consumatori in un loro utilizzo generalizzato e quotidiano persistono.

… e quello di domani: una realtà totalizzante in poche mani?

Al momento l’idea che si sta vendendo è quella di un universo scalabile: ognuno parteciperà al metaverso quanto e come vorrà. Ci sarà chi si immergerà completamente e chi invece lo userà solo per alcune attività. Ma non dimentichiamo che anche quando i social media si sono affacciati nel nostro di universo si diceva che non avrebbero colonizzato ogni momento della nostra vita, mentre oggi si parla addirittura di tecnologie della vita quotidiana per sottolineare quanto siano stati incorporati nella nostra realtà.
Se poi il metaverso verrà davvero disegnato solo da soggetti privati e commerciali rischiamo che sia trasformato in un buco nero del consumo. Nelle descrizioni e nei piani attuali delle aziende che se ne stanno interessando il metaverso dovrebbe offrire un’esperienza totale, dove una sola entità, il metaverso e chi lo controlla, venderà a ognuno di noi intrattenimento, relazioni sociali, vestiti, benzina, e tutto ciò che sta in mezzo. Quindi stiamo parlando di qualcosa come Amazon, ma su larga anzi larghissima scala attraverso cui tutto deve passare.
Se il metaverso è ancora così lontano da una completa ideazione e realizzazione non è perché mancano volontà o investimenti, e neppure perché la tecnologia non è matura, perché abbiamo visto che alcune applicazioni del metaverso già esistono e funzionano. Il problema vero è la standardizzazione. Piattaforme tecnologiche concorrenti dovranno accordarsi tra loro perché non può esistere un metaverso di Facebook o un metaverso di Roblox. Il metaverso, almeno idealmente, è unico. Non solo dovranno esserci accordi commerciali e non tra soggetti diversi e spesso concorrenti, ma anche protocolli comuni su cui basare questo mondo e caratteristiche coerenti che accomunino i diversi spazi di modo che ognuno di noi potrà accedere utilizzando un unico account valido per tutti i servizi disponibili e poter utilizzare un unico portafoglio, reale o virtuale che sia.

Agire già oggi

Perché questo possa accadere è chiaro che a controllare lo sviluppo del metaverso dovrebbe esserci un ente superiore (torniamo all’accezione originale della parola meta), ma chi o cosa possa essere è difficile da immaginare. Il punto è che il metaverso ha bisogno di qualcosa che possa garantire una certa regolamentazione e creare le infrastrutture sulla base delle quali i singoli soggetti, commerciali e non, costruiranno il loro spazio e attiveranno le loro offerte. E questo qualcosa non può e non deve essere un soggetto commerciale e privato, o almeno non solo.
Dovremmo anticipare i modi in cui il metaverso potrebbe essere usato in modo improprio perché l’uso improprio della tecnologia da parte di utenti singoli e non solo è già stato documentato in molti ambiti che si collegano all’idea di metaverso.
Dovremmo preoccuparci già da oggi di questioni come la responsabilità individuale e collettiva, altrimenti rischiamo che il metaverso si trasformi in un mondo specchio, ma uno specchio scuro, dove tutti i problemi e le storture che vediamo già saranno amplificati, dalla disinformazione all’abuso, dal bullismo all’hate speech.
Dovremmo pensare già da oggi alle regole e ai limiti che vogliamo darci e a come tutelare i soggetti più fragili.
Dovremmo chiedere che non solo enti superiori o soggetti commerciali, ma anche gli utenti stessi del metaverso abbiano diritto non solo di partecipare in questo mondo, ma anche di plasmarne il futuro.