Una volta svelati i principali meccanismi della malattia si possono immaginare, e quindi attuare, nuove specifiche terapie di cura
Una domanda che mi viene posta spesso in questi mesi è "ma cosa c’entrano le malattie infettive con i tumori?". Una domanda legittima, che nasce quando spiego che IRB (Istituto di Ricerca in Biomedicina) e IOR (Istituto Oncologico di Ricerca), oltre ad abitare da poco nella stessa ‘casa della scienza’ Bios+, intendono anche crescere insieme, scientificamente, all’intersezione tra le principali aree di studio dei due istituti accademici di Bellinzona: immunologia per IRB e tumori per IOR.
L’immunologia si occupa dello studio del sistema di difesa dell’organismo. In altre parole, studia l’‘esercito privato’ che riconosce e combatte aggressori esterni, come ad esempio virus e batteri che causano malattie infettive. Inoltre, esso è anche in grado di riconoscere ed eliminare le cellule ‘impazzite’ che portano allo sviluppo dei tumori. Fatto importante quest’ultimo, su cui si basano trattamenti oncologici di ultima generazione che vanno proprio a potenziare la capacità intrinseca del nostro sistema immunitario di distruggere le cellule tumorali.
Tra i numerosi temi che collegano malattie infettive e tumori, ne scelgo due che toccano anche attività svolte nei nostri laboratori: le infezioni che favoriscono il tumore, e la fragilità del paziente oncologico che lo rende particolarmente vulnerabile di fronte a virus e batteri.
Alcune infezioni favoriscono lo sviluppo di tumori. È il caso, per esempio, dell’infezione da virus dell’epatite B. Quasi 400 milioni di persone al mondo sono cronicamente infettate da questo virus, e a causa dell’infezione una frazione importante di esse svilupperà tumori al fegato, difficili da curare. Un altro esempio è un piccolo battere dal nome Helicobacter pylori: studi pionieristici (condotti anche a Bellinzona dai prof. Franco Cavalli ed Emanuele Zucca negli anni 90) hanno dimostrato come il trattamento con antibiotici per eradicare questo battere porti non solo alla cura di alcuni tipi di ulcere gastriche, ma anche alla cura di certi linfomi che si sviluppano nello stomaco. C’è poi il virus del papilloma umano (HPV), che causa tumori aggressivi alla cervice uterina. La maggior parte delle infezioni da virus HPV sono asintomatiche, la persona infetta non sa di essere contagiosa. Si stima che, in Svizzera, una persona su dieci ne sarà colpita nel corso della vita. La buona notizia è che vaccini contro questo virus sono disponibili da alcuni anni, efficaci contro l’infezione e anche nel prevenire lo sviluppo del cancro alla cervice. Quindi, un vero e proprio vaccino antitumorale.
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Esistono vaccini per prevenire i tumori
Questi importanti risultati ottenuti nella lotta alle infezioni connesse con i tumori non sono giunti dal nulla. Sono frutto di anni, se non decenni, di sforzi nella ricerca scientifica cosiddetta di base (o ‘fondamentale’) svolti in istituti accademici simili ai nostri. È la ricerca di base che ha portato alla scoperta del ruolo dell’Helicobacter nell’ulcera e nel linfoma, scoperta per cui ai prof. Barry Marshall e Robin Warren è stato conferito il premio Nobel nel 2005. Similmente, per l’identificazione del ruolo del virus del papilloma nel tumore alla cervice, il prof. Harald zur Hausen è stato insignito del premio Nobel nel 2008. Una volta svelati i meccanismi della malattia, si è poi potuto immaginare, e quindi attuare, lo sviluppo di terapie specifiche contro di esse (l’antibiotico contro l’Helicobacter e il vaccino contro il virus del papilloma per prevenire il tumore). Questo grazie alle ricerche di tipo traslazionale e poi clinico, che sono succedute a queste scoperte.
Ci sono purtroppo altri tumori dove è chiaro il nesso tra infezione e cancro, ma dove ancora non si è giunti ad un rimedio. Un esempio importante è l’infezione da EBV (Epstein-Barr virus). Questo virus è trasmesso frequentemente tra gli adolescenti e causa ‘la malattia del bacio’ (mononucleosi) che generalmente passa in poche settimane. Svaniscono i sintomi, ma il virus rimane, latente, all’interno del nostro corpo. A distanza di anni o decenni può, in alcuni casi, portare allo sviluppo di tumori come i linfomi, o come quelli alla faringe o allo stomaco.
Di vaccini per prevenire l’infezione da EBV ancora non ce ne sono, e tantomeno cure efficaci per distruggere il virus o le cellule da esso infettate. Un nemico quindi difficile da combattere. Da tempo siamo attenti a questo problema e negli scorsi mesi abbiamo iniziato un nuovo progetto, svolto in collaborazione con lo IOR e che coinvolge anche medici di medicina generale e della Clinica Luganese Moncucco, con l’obiettivo primario di capire più in profondità aspetti della risposta immunitaria contro EBV a seguito dell’infezione, così come nei pazienti affetti da linfoma. Una ricerca di base, per capire, ma che potrebbe aprire le porte allo sviluppo di nuovi medicamenti.
Secondo stime recenti, esistono almeno 320mila specie di virus in grado di infettare mammiferi. Se si guarda solo all’uomo, ne conosciamo circa 250, e questa lista si allunga di circa 5 unità ogni anno. È possibile, se non probabile, che ve ne siano molti di più, ed è facile immaginare come nei prossimi anni si potrebbero scoprire ulteriori connessioni tra tumori e virus (o anche batteri).
Il secondo tema è legato alla fragilità del paziente oncologico. La malattia tumorale, o le sue cure, indeboliscono spesso in maniera molto importante il sistema immunitario del paziente (si parla di immunosoppressione). Ciò lo rende più vulnerabile, ad esempio, nei confronti di malattie infettive. Un problema questo che non è unico ai pazienti oncologici, ma che affligge anche coloro che hanno subito un trapianto d’organo, oppure che sono in cura per malattie autoimmuni.
In totale, si stima che circa il 2-3% della popolazione sia immunosoppresso. Questo problema si è manifestato anche durante la recente pandemia di Covid-19. Esempio estremo sono i pazienti oncologici con il sistema immunitario talmente indebolito che dopo essersi ammalati restano positivi al coronavirus non per una settimana, come di norma, ma per mesi e mesi, con decorsi spesso sfavorevoli.
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Il 2-3% delle persone è immunosoppresso
Lo stato di immunosoppressione ha anche delle ripercussioni sui vaccini: un sistema immunitario indebolito non è in grado di rispondere in maniera adeguata al vaccino e non riesce a produrre robuste quantità di anticorpi e altri fattori necessari per proteggere dall’infezione (gli anticorpi sono una delle armi più potenti del sistema immunitario). Ne consegue che in questi individui i vaccini funzionano poco. Per questo motivo, presso l’IRB stiamo sviluppando una molecola in grado di contrastare il coronavirus originale e le sue varianti, che potrebbe rivelarsi utile proprio in persone con sistema immunitario indebolito che non rispondono al vaccino. La molecola, un anticorpo bispecifico di seconda generazione, nasce da una collaborazione fra tre laboratori IRB e nell’ambito di un consorzio accademico europeo. Avendo superato i test preclinici, si prospettano per l’anno prossimo i test clinici di Fase 1 presso l’Istituto Oncologico della Svizzera italiana (IOSI, associato all’Ente Ospedaliero Cantonale, EOC). Come per il Covid‑19, c’è una notevole necessità di trovare metodi di protezione contro altre malattie infettive che rappresentano una minaccia per pazienti con tumori o altrimenti fragili, tra cui figurano anche gli anziani.
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