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Sulla strada per Samarcanda tornano a correre i ‘takh’

In Kazakistan si reintroducono gli ultimi cavalli selvaggi. In Galles un gatto ricompare dopo 12 anni e in Suriname si salvano le terre ancestrali

‘Qui un tempo galoppavano i tuoi antenati’ (Zoo di Praga - Miroslav Bobek)

In Kazakistan si reintroducono gli ultimi cavalli selvaggi. In Galles un gatto ricompare dopo 12 anni e in Suriname si salvano le terre ancestrali

18 giugno 2024
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A ‘Qualcosa di buono’ questa settimana è tempo di storie e di... ritorni a casa. Succede nel lontano Kazakistan, dove un progetto mira a reintrodurre gli ultimi cavalli selvaggi rimasti al mondo. Ma non solo: in Galles un micio è stato ritrovato dopo ben 12 anni nello stesso giardino dove vi si erano prese le tracce. E per finire c’è anche chi la propria dimora ancestrale non la vuole lasciare, tanto da ricorrere a un tribunale. Ci troviamo in Sud America, più precisamente in Suriname, e questa è la battaglia delle popolazioni indigene per salvare la foresta amazzonica.

Gli unici veri ‘cavalli selvaggi’

Chissà se Roberto Vecchioni nella sua ‘Samarcanda’, quando cantando implorava che gli fosse data "la bestia più veloce che c’è" per fuggire il più lontano possibile dalla ‘Nera Signora’, si immaginava di montare a cavallo di un purosangue arabo oppure di uno... Przewalski. Lo Przewalski, anche noto col più facile nome di ‘takh’, è una specie equina dall'aspetto imponente, nonché l'ultimo vero cavallo selvatico esistente. Per secoli ha abitato le steppe dell'Asia centrale e, in particolare, del Kazakistan ma, a causa della caccia e della perdita di habitat, si è estinto in natura per oltre due secoli, sopravvivendo solo grazie agli sforzi di conservazione nei giardini zoologici.

Zoo di Praga - Miroslav BobekQualche attimo per abituarsi alla nuova realtà

Ora, grazie a un ambizioso progetto di conservazione, sette esemplari (uno stallone e sei giumente) sono stati trasportati da Berlino e Praga alla loro terra natia, il Kazakistan, con l'obiettivo di reintrodurli nella riserva naturale di Altyn Dala, nella regione di Kostanai. Questo territorio è stato selezionato per le sue condizioni favorevoli alla sopravvivenza dei cavalli selvatici, simili a quelle delle steppe mongole dove il cavallo di Przewalski è stato già reintrodotto con successo. Un viaggio che non è stato fatto ‘via terra’, magari passando proprio per Samarcanda (che si trova in Uzbekistan, Paese che confina con il Kazakistan), ma con un volo speciale.

Zoo di Praga - Miroslav BobekIl momento in cui i cavalli vengono caricati sull’aereo

Filip Mašek, portavoce dello zoo di Praga, spiega i dettagli del viaggio in un comunicato stampa: "Inizialmente dovevano viaggiare otto cavalli, ma uno si è seduto durante il volo in aereo e abbiamo dovuto scaricarlo e riportarlo allo zoo di Praga. È un viaggio di oltre 30 ore e gli animali devono restare in piedi per tutto il tempo, per una questione legata alle zampe il cui sangue deve circolare correttamente. Sia lui, sia tutti gli altri equini stanno bene – spiega l'uomo, che continua –. Quando si parla di cavalli selvaggi molti pensano ai Mustang, ma in realtà questi ultimi sono cavalli addomesticati, importati dagli spagnoli in America, e poi rinselvatichiti. I takh sono gli unici cavalli selvaggi rimasti al mondo. Oggi si sta compiendo un piccolo miracolo. È un momento storico".

Il progetto, che coinvolge il governo kazako, il giardino zoologico di Praga e varie organizzazioni internazionali, mira a reintrodurre almeno una quarantina di cavalli entro il 2024.

Zoo di Praga - Miroslav Bobek’Zorro’ esplora l’area circostante

Dopo dodici anni Artie è tornato a casa

Prima si è sentito un miagolio acuto, poi si è visto il muso stanco sbucare da un cespuglio. Così è riapparso Artie – un gatto bianco e grigio – nel giardino vicino alla sua vecchia casa nel Galles. Il micio era scomparso da ben dodici anni ed è stato riconosciuto grazie al microchip (e a un vicino dalla buona memoria). L'animale oggi ha 16 anni, non gode di un'ottima forma, eppure questo non lo ha fermato dal ritrovare la strada per ritornare dalla sua famiglia.

SwnsIl ‘veterano’ Artie nella sua cuccia

Nel 2012, Artie era uscito di sera per la sua consueta passeggiata, ma non era più tornato. Cosa sia successo quella notte al felino resta un mistero, come resta un mistero dove abbia vissuto, probabilmente come gatto randagio, in tutti questi anni.

Ora, in un momento di particolare fragilità, Artie ha trovato la strada verso la sua vecchia dimora... che ha però trovato chiusa: infatti i proprietari del gatto, qualche anno prima, hanno traslocato. Il micio malconcio, però, è stato catturato e portato al North Clwyd Animal Rescue di Holywell, dove è stato letto il suo microchip. Nonostante i dati non fossero stati aggiornati, un ex vicino rimasto nel quartiere ha riconosciuto l'animale e avvisato gli ‘amici umani’ di Artie.

"Avevo 17 anni quando Artie scomparve da casa di mia madre – racconta Theo-Will ai giornali locali –. Lo abbiamo cercato a lungo, ma non siamo riusciti a trovarlo, fino a quando nei giorni scorsi un mio amico mi ha detto che avevano trovato un gatto con il chip registrato a nome di mamma". Così ha riconosciuto subito il suo adorato gatto ed è corso a prenderlo.

"È in cattive condizioni: gli mancano diversi denti, soffre di ipotiroidismo e ha grumi precancerosi sulle orecchie, che i veterinari hanno suggerito di non rimuovere poiché potrebbe non sopravvivere all'anestesia necessaria per l'operazione. Nonostante questo è una vera e propria ‘macchina per le fusa’. Ancora non riesco a crederci che dopo 12 anni io e Artie siamo di nuovo insieme", racconta il proprietario, che continua: "Voglio assicurarmi che i suoi ultimi anni siano trascorsi nel comfort, circondato dall'amore e dalla serenità che si merita".

Insomma, tutto è bene quel che finisce bene.

SwnsDopo tanto tempo di nuovo insieme

‘Questa foresta non si tocca’, lo dice il tribunale

Il patrimonio verde della foresta amazzonica vale, vale tanto; più di qualsiasi attività economica legata all'agricoltura intensiva. A dirlo una storica sentenza emessa da un tribunale del Suriname. La decisione potrebbe dare un nuovo respiro alle comunità native e locali, proteggendo il loro territorio ancestrale da futuri attacchi da parte delle lobby dell'agricoltura.

La Corte ha infatti accolto un'ingiunzione presentata da dodici gruppi indigeni, preoccupati di perdere 535'000 ettari di foresta pluviale a causa dello sviluppo agricolo. I progetti, promossi dai Mennoniti, dal Ministero dell'agricoltura e da enti privati, avrebbero potuto mettere a rischio i delicati equilibri ambientali e le tradizioni culturali delle comunità locali.

Mongabay, ACA/MAAPIn verde (e giallo) le aree che il Ministero dell’agricoltura voleva disboscare

John Goedschalk, a capo dei servizi di difesa dei cambiamenti climatici, ha commentato: ‘Questa misura offre una protezione provvisoria alle comunità locali e indigene. La battaglia non è ancora finita, ma questo è un buon primo passo’.

La sentenza ha stabilito che il governo non può concedere terreni senza un consenso libero, preventivo e informato. Questo processo richiede che gli sviluppatori incontrino i residenti per discutere l'impatto dei progetti sulla loro vita quotidiana. Senza questo, i cimiteri, le aree di caccia e altre tradizioni culturali della vita tribale potrebbero essere a rischio.

Il Suriname è l'unico Paese del Sud America che non riconosce legalmente il territorio ancestrale degli indigeni e di altre popolazioni locali. Questa sentenza rappresenta un precedente importante, riconoscendo per la prima volta i diritti territoriali delle popolazioni locali e indigene.

Nonostante il successo, sono ancora in corso nuovi sforzi per sviluppare l'industria agricola del Suriname. Terra Invest, la società che cerca di ricollocare i Mennoniti dalla Bolivia e da altre parti dell'America Latina, ha un nuovo piano per sviluppare un'area all'interno dei 535'000 ettari originali. La decisione finale spetta ai Kwinties, una comunità indigena del Suriname centrale, che sono attualmente divisi sulla questione.

KeystoneL’oro ‘verde’

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