Henley & Partners, società di consulenza, mette in testa Giappone e Singapore, i cui cittadini hanno diritto a passaporti che aprono a 192 Paesi del mondo
Se la libertà di movimento, di viaggiare è segno di potenza e il passaporto un viatico per il Paese che lo emette, anche in questo campo si allarga il divario fra il Nord e il Sud del mondo. A farla da padrone sono i Paesi più ricchi, con in testa il Giappone e Singapore, i cui cittadini hanno diritto a passaporti che aprono le porte a ben 192 Paesi del mondo, secondo la classifica per il 2022 stilata dalla società di consulenza americana Henley & Partners, citata dalla Cnn, che si basa sui dati forniti dall’Associazione internazionale del Trasporto aereo (Iata). Una classifica che non tiene conto delle restrizioni pandemiche o di altre cause contingenti. Una classifica in cui in generale dominano i Paesi europei. In seconda posizione ci sono ex aequo Germania, primo fra i Paesi europei, e Corea del Sud (190 Paesi), mentre l’Italia si trova al terzo posto a pari merito con Finlandia, Lussemburgo, e Spagna (189). Seguono in quarta Austria, Danimarca, Francia, Paesi Bassi e Svezia (188), e così via. Per trovare gli Stati Uniti, bisogna scendere un po’, alla sesta posizione in classifica (187), dove sono appaiati a Belgio, Nuova Zelanda, Norvegia, Svizzera e Regno Unito. Poi continuano a esserci solo Paesi europei fino alla decina posizione e oltre, insieme all’Australia (settima posizione).
Il primo Paese dell’Europa orientale figura al decimo posto, con la Repubblica Ceca. Il “peggiore” passaporto da possedere è invece quello dell’Afghanistan, al 111esimo posto, che al momento lascia passare solo in 26 Paesi del mondo, 166 in meno di quelli ai quali ha accesso il cittadino giapponese. Perfino la Corea del Nord è messa meglio (104esimo posto, 39 destinazioni) dell’Afghanistan dei Talebani. Peggio del documento di espatrio emesso da Pyongyang sono quelli di Nepal e Territori palestinesi (posizione 105, 37 destinazioni), Somalia (106, 34), Yemen (107, 33), Pakistan (108, 31), Siria (109, 29) e Iraq (110, 28). Pandemia a parte, la libertà di movimento si è generalmente estesa negli ultimi due decenni: il Henley Passport Index rileva infatti che nel 2006 un viaggiatore medio poteva, in media, visitare solo 57 Paesi senza dover richiedere in anticipo un visto. Oggi ne può visitare alle stesse condizioni 107: quasi il doppio in 15 anni.
Ma questa è una libertà goduta, appunto dagli europei, dai nordamericani e dai cittadini dell’Asia più prospera. In media, un viaggiatore dell’Angola, del Camerun o del Laos può entrare senza visto preventivo solo in una cinquantina di Paesi. Secondo Christian H. Kaelin, presidente di Henley & Partners e creatore dell’indice, “i passaporti e i visti sono fra gli strumenti più importanti per incidere sull’ineguaglianza sociale nel mondo, perché determinano le opportunità di mobilità globale. I confini del Paese in cui siamo nati e i documenti ai quali siamo intitolati sono non meno arbitrari del colore della nostra pelle”. Gli stati più benestanti, conclude Kaelin, “dovrebbero incoraggiare una immigrazione positiva come sforzo per redistribuire e bilanciare le risorse umane e materiali a livello globale”.