La disinformazione sulla guerra passa spesso dai ‘non ce lo dicono’ e dalle mezze verità
Una delle tante insidie del lavoro di studioso o di giornalista è quella di innamorarsi delle proprie tesi. L’etica professionale imporrebbe di non adattare la realtà alle proprie idee, ma di modificare queste ultime in base ai fatti. Il principale pericolo nella comunicazione della nostra epoca è costituito dalle cosiddette bolle cognitive, amplificate dagli algoritmi che forniscono agli utenti dati e informazioni che coincidono con i loro gusti. Così un no-vax sarà bombardato sui social da notizie che gli daranno ragione, un vegano idem, un carnivoro pure, un americanofilo si sentirà confortato nelle sue idee, così come un americanofobo. Possiamo estendere gli esempi ad libitum. In una lettera pubblicata sabato scorso su questo giornale, Diego Lafranchi propone così una sua narrazione degli eventi in Ucraina che coincide in sostanza con quella del Cremlino. A prima vista potrebbe sembrare convincente: tutto sembra meravigliosamente quadrare. Toh, finalmente: il lettore ci dice quello che i giornalisti "non ci dicono". In verità la sua narrazione segue il classico percorso della disinformazione (consapevole o non): procede per omissioni, decontestualizzazioni, citazioni errate, cronologie forzate, verità parziali. Senza dimenticare quelle forzature dei sillogismi che il drammaturgo Eugène Ionesco aveva spinto fino ai confini del grottesco ("Tutti i gatti sono mortali. Socrate è mortale. Dunque Socrate è un gatto").
Senza ambire alla decostruzione dettagliata della sua tesi, vediamone alcune criticità. Omissioni: ce ne sono molte, vengono eliminati tutti i fatti che potrebbero inficiare la narrazione. Il percorso è lineare, senza ostacoli. Per esempio: "La Crimea decide la separazione e l’annessione alla Russia". Lafranchi non spende una parola per ricordare che la Crimea era stata occupata illegalmente nel 2014 dalla Russia e che il referendum è stato dichiarato nullo da tutte le istanze internazionali. Mezze verità: gli accordi di Minsk furono disattesi, vero. Ma da entrambe le parti, non unicamente da Kiev. Mosca ad esempio considerava di non aver nessun obbligo in quanto non parte del conflitto armato (il che era palesemente falso, i russi erano da tempo nel Donbass). Citazioni errate e falsità: Angela Merkel non ha "spudoratamente ammesso" che gli accordi di Minsk miravano in realtà a dar tempo all’Ucraina per riarmarsi, come scritto dalla stampa filorussa (‘Merkel: sì, abbiamo ingannato Putin…’, gazeta.ru). In un’intervista a Der Spiegel, l’ex cancelliera ci dice che quegli accordi sono serviti a dare tempo all’Ucraina, tempo che ha usato per rafforzarsi militarmente (e di riflesso per difendersi da Mosca). Non c’era però nessuna intenzionalità occidentale, perlomeno stando alle parole della Merkel. Sarebbe utile dunque in questi casi, nel limite del possibile, andare a cercare le fonti dirette per evitare le letture e citazioni imprecise/manipolatorie che circolano sul web.
Anche la cronologia dei fatti confluisce nel tritacarne ideologico: "Affermare che la guerra ebbe inizio il 24 febbraio per decisione di Putin è un’affermazione tronca che stravolge il senso degli eventi". Ecco, "non ci dicono" che in realtà un consigliere ucraino aveva già preannunciato la guerra nel 2021, e il sillogismo sui generis non può che condurci di riflesso alla conclusione che la responsabilità dell’aggressione (attribuita dall’Onu alla Russia, con i cinque voti contrari di Siria, Corea del Nord, Eritrea, Bielorussia e… Russia) non è quella della narrazione mainstream filoccidentale.
Beninteso, le semplificazioni sono un pericolo che incombe in generale, e non solo in senso filorusso come in questo caso, sulle narrazioni affrettate, amplificate dai social, date in pasto a chi nelle informazioni cerca voracemente conferma delle proprie idee. È un vecchio problema con cui si confronta il giornalismo. Un caso emblematico fra i tanti: la presunta promessa fatta nel 1990 dall’allora segretario di Stato americano James Baker a Gorbaciov di non espandere la Nato a est. Non vi fu mai nessun tipo di impegno reale scritto (come dimostra una ricerca dell’Università di Harvard) e secondo Baker lui si riferiva alle forze Nato nella Germania orientale. Gorbaciov tuttavia sostenne in un’intervista rilasciata nel 2008 una versione diversa: l’impegno americano, benché non formalizzato, riguardava i Paesi dell’Est e non solo le forze Nato nell’ex Ddr. A seconda dei propri pregiudizi e tesi si può dunque evidenziare una delle due opinioni omettendo quell’altra. L’Ucraina aveva tra l’altro accantonato la richiesta di adesione all’Alleanza atlantica nel 2010, ma in una narrazione corretta non si può non tener conto anche di un’espansione che, vista da Mosca, è stata improvvida nelle sue modalità.
Le narrazioni semplicistiche possono titillare le diverse tifoserie, ma non rendono conto della realtà. Che è per definizione complessa.