Ampie fasce della popolazione soffrono di più. Ma non si sentono rappresentate dalla politica, soprattutto a sinistra, e dai sindacati. Molto preoccupante
Nel domino crescente e preoccupante che si innesca quando si parla di difficoltà, sofferenze e povertà di una fascia sempre più ampia della popolazione c’è un altro aspetto che deve far pensare: il fatto che queste persone siano sempre meno rappresentate, politicamente e sindacalmente. La desolante piazza messa insieme mercoledì scorso da sinistra e sindacati per protestare contro i tagli del Preventivo 2025 – seicento persone a esagerare –, dopo una manifestazione convocata ancora prima di avere sul tavolo le proposte del Consiglio di Stato e lanciata con toni drammatici, parla da sola. E parla – considerando anche la non trascendentale presenza al corteo di protesta contro l’aumento dei premi di cassa malati – di fasce della popolazione che, pur soffrendo tagli di ogni tipo in nome del pareggio di bilancio e non arrivando a fine mese, non vedono più come interlocutori affidabili né i partiti di sinistra, né i sindacati tradizionali.
Già l’anno scorso, proprio di questi tempi, se ne ebbe una prova. La risposta del Ticino a un Preventivo ben più pesante di quello attuale – poi rintuzzato da un Gran Consiglio in piena fregola preelettorale –, è stata sì di manifestazioni, cortei, slogan e cartelli vari. Ma la traduzione? L’elezione al Consiglio degli Stati della doppietta più a destra forse di sempre – Marco Chiesa e Fabio Regazzi –, la sconfitta nella lotta per la Camera dei Cantoni del candidato più ‘accettabile’ a sinistra cioè il liberale radicale Alex Farinelli, un arretramento del fronte rossoverde.
Il fatto che temi urgenti vedano o piazze vuote o insuccessi elettorali deve interrogare seriamente chi si fa vanto di difendere persone e categorie che, però, fanno sentire se non abbandonati almeno non difesi davvero. Si apre una questione di rappresentanza, che in democrazia vuol dire tutto. Perché chi non vota più a sinistra o non rinnova la propria iscrizione a un sindacato – o, quantomeno, passa il mercoledì pomeriggio in famiglia invece che a sfilare – non sempre finisce col votare a destra per protesta come in una sorta di Elegia ticinese, citando J.D. Vance. Più spesso, questo elettorato sparisce dai radar. Entra nei grandi numeri dell’astensione che tutti stigmatizzano e considerano un allarme due minuti dopo la chiusura dei seggi, ma che dal terzo minuto diventano contorno, sfumatura, rumore di sottofondo. Molto sbagliato, e pericoloso per la tenuta sociale del Paese.
L’affresco emerso dalla giornata di riflessione promossa ieri da Soccorso d’inverno Ticino è a tratti inquietante. Un affresco composto da persone che non fanno screening e visite perché non se li possono permettere, da premi di cassa malati diventati insostenibili ormai per tutti, da una scuola che vorrebbe arrivare ben più in là di dove già arriva in fatto di disagio giovanile visto come riflesso dei problemi degli adulti, da ansie e preoccupazioni che spesso non vediamo – o non vogliamo vedere – e che però ci sono. Ma è un urlo sott’acqua. Ben vengano eventi come quello di ieri, esattamente come ben venga ricordare sempre l’importanza della responsabilità individuale, del realizzarsi e dell’elevarsi con le proprie forze. Ma se la risposta a chi è in serie difficoltà è dire “non ci sono soldi”, chi davvero è senza soldi volta le spalle e a venir sconfitta è la comunità tutta. E di conseguenza la democrazia rappresentativa.