Più breve di un temporale estivo, il fronte progressista è stato di fatto affondato dall’ego smisurato di una girandola di personaggi sciagurati
Moribondo ancor prima di essersi messo all’opera. Forse l’unica cosa tradizionalmente di sinistra che è riuscito fare il Nuovo Fronte Popolare francese (Nfp) è una spaccatura interna. Léon Blum e Maurice Thorez avrebbero ottime ragioni per rivoltarsi nella tomba, non fosse altro che per usurpazione del nome di quella coalizione (Fronte Popolare) che nel 1936 riuscì a governare imprimendo al Paese una svolta sociale epocale.
Oggi è inutile cercare personaggi che abbiano la caratura dei due leader, socialista e comunista. Più breve di un temporale estivo, il fronte progressista è stato di fatto affondato dall’ego smisurato di una girandola di personaggi sciagurati. “Sono disgustata” ha tuonato la leader ecologista Marine Tondelier di fronte all’impasse: dieci giorni di infruttuose sfibranti discussioni per decidere quale nome presentare per la guida del governo. E al momento in cui scriviamo, neanche un’intesa su chi proporre alla guida dell’Assemblea Nazionale nell’elezione prevista in giornata.
A svolgere un ruolo centrale nell’infausta eclissi prematura troneggia la figura di Jean-Luc Mélenchon, arruffapopolo che dopo aver scartato a colpi di purghe i dissidenti della sua France Insoumise (Lfi) vuole imporre una sua candidatura e un suo programma. Socialisti, comunisti ed ecologisti avevano trovato un’intesa su una personalità popolare e stimata, emanazione della società civile. Ma per Mélenchon, Laurence Tubiana, diplomatica, economista, architetta degli accordi di Parigi sul clima, ha un’imperdonabile tara: è troppo moderata. Il problema per l’egotico tribuno è che la rivoluzione in parlamento non si può fare quando si ha meno di un ottavo dei deputati. Poco importa: nessun compromesso, muoia Sansone con tutti i Filistei. “Offriamo uno spettacolo ridicolo, stiamo fabbricando voti per l’estrema destra” ha esclamato amareggiata una militante socialista.
La sinistra ha saputo costituirsi in coalizione unicamente in chiave anti-Rassemblement National: passate le elezioni, è iniziato in men che non si dica il parapiglia. A breve la “guerre des gauches” dovrebbe offrire un bell’assist al presidente Macron: un’alleanza tra forze di governo, destra repubblicana e sinistra socialdemocratica (con conseguente scioglimento del Nuovo Fronte Popolare) è a questo punto tra le opzioni più realistiche. Anche perché la Costituzione vieta un ulteriore scioglimento delle Camere nei prossimi 12 mesi.
Tradizionalmente le coalizioni di governo si formano al centro. Lo conferma il caso tedesco dove il sistema proporzionale ha sempre (dal 1949) portato a delle intese tra due o tre partiti moderati. In Francia il sistema maggioritario ha consentito maggioranze monocolori, ma oggi il regime parlamentare della Quinta Repubblica deve fare i conti con uno sparpagliamento inedito delle forze partitiche. Sciogliendo le Camere, Macron si prefiggeva una chiarificazione del panorama politico dopo la batosta subita alle elezioni europee. Sorge il dubbio che sotto sotto, ricorrendo a elezioni anticipate, abbia pure tentato un colpo di poker in parte riuscito: ha isolato un’estrema destra vincitrice in voti percentuali ma ancora tabù per la maggioranza del Paese, e ha capito che la sinistra pur maggioritaria in seggi si sarebbe subito lacerata, dimostrando così che le forze centriste sono le uniche in grado di assicurare un minimo di stabilità al Paese.