Il cittadino semplicemente non si informa ma aderisce al parere di chi è abile nel comunicare e ha mezzi per farlo
Durante un simpatico incontro pubblico, il cortese moderatore mi ha chiesto le ragioni del mio indiscreto scetticismo intorno agli strumenti della democrazia diretta. Premetto: la commistione fra rappresentatività e direttismo, formula utilissima che fa della Svizzera una democrazia completa, è la peculiarità primaria del nostro Paese. Consente ai cittadini di scavalcare la rappresentanza parlamentare, di intervenire nel processo decisionale, di pronunciarsi su progetti o di proporne di nuovi trascurati o ignorati dal parlamento. Ma la democrazia diretta è soprattutto un invito sottotraccia ai nostri rappresentanti a non scostarsi con eccessiva disinvoltura dagli auspici dei cittadini: una sorta di freno verso le tentazioni oligarchiche che inducono a sottomettere il bene pubblico agli interessi corporativi e delle lobby (la subordinazione della politica al capitalismo predatorio, economico e finanziario, è la caratteristica della postdemocrazia).
Le mie obiezioni a proposito di iniziative e referendum non riguardano la loro indiscussa utilità, ma piuttosto la mancanza di una scrupolosa informazione e una formazione adeguata del cittadino che sceglie e vota. Che oggi non c’è. A chiarire il concetto irrompe Giorgio Gaber con la famosa teoria della nonna: mia nonna – ci dice il Signor G – vota sempre; il problema è che non sa perché vota sì o perché vota no.
Secondo stime recenti, non solo le nonne ma anche il 50% di tutta la discendenza parentale vota senza una conoscenza dell’oggetto. Gli specialisti parlano di “ignoranza organizzata”: il cittadino semplicemente non si informa ma aderisce al parere di chi è abile nel comunicare e ha mezzi per farlo. E i dibattiti televisivi che imperversano alla vigilia delle votazioni? Non formano e non informano: nessuna vera discussione, nessuna volontà di capire le ragioni dell’altro, ci si contrappone e basta. E il pubblico è invitato a credere, ad ascoltare in silenzio.
L’“ignoranza organizzata” e la disinformazione sono motivo d’ansia per ogni democrazia perché rendono i cittadini un po’ imbecilli. Ce lo disse il politologo Giovanni Sartori: siamo sulla strada dell’asinocrazia e vale per tutti, eletti ed elettori. Già il nostro Franscini l’aveva capito: senza cittadini ben informati e politici lungimiranti e responsabili la democrazia traballa. E infatti talvolta il cittadino disinformato è indotto dalle blandizie di imbonitori interessati a pronunciarsi contro l’interesse collettivo: e quando si accorge dell’inganno, è troppo tardi.
Prima nota conclusiva: referendum e iniziative sono una buona cosa a condizione che siano dati ai cittadini gli strumenti adeguati (oggi non dati) per una buona informazione e una indispensabile formazione.
Un secondo motivo di cautela quando si affronta il tema della democrazia diretta è il populismo dilagante che ne ha fatto un vero e proprio cavallo di Troia per scalzare ogni forma di intermediazione fra lo Stato e i cittadini. In particolare, la destra populista (quella delle frontiere, dell’esclusione degli altri, della pavida neutralità a porte chiuse) ci informa che il popolo ha sempre ragione: vox populi vox dei. È questa un’insidiosa aggressione all’idea di democrazia che si fonda sul principio della maggioranza che governa e della sovranità popolare nei limiti previsti dalla Costituzione.
Ma le destre populiste non sono d’accordo: la volontà del popolo è assoluta e al di sopra di tutto, e se la Costituzione non va la si cambia. Così ragionano le destre, quelli dell’autocrazia soft, avviati passo dopo passo a incontrare Orbàn nel salotto buono. Un primo passo l’ha fatto l’Italia, declassata a democrazia incompleta: avanti ancora un poco e dovremo aggiornare anche il sostantivo.
Seconda nota conclusiva: difendiamo l’istituto della democrazia diretta, ma ricordiamo ai distratti che sopra le leggi c’è la Costituzione, intangibile e inviolabile.
P.s.: L’occasione per queste succinte considerazioni mi è suggerita dalla congiuntura attuale in cui fioccano iniziative e referendum: ad ascoltare certi discorsi, il dubbio che vi sia carenza di formazione e informazione diventa granitica certezza. Da noi, ad esempio, è il tema della riforma tributaria a tener banco. I fautori insistono sulla teoria dello sgocciolamento della ricchezza (è sulla bocca di tutti): agevoliamo quelli su – dicono – che poi la manna cade in basso. Non è mai successo, ma si può sempre provare e insistere con argomenti fallaci: c’è sempre qualcuno che ci crede. Intanto Martin Wolf, co-direttore del Financial Times, uno dei critici economici più autorevoli in circolazione, precisa che la suddetta teoria è uno slogan politico eccellente ma che i tagli sulle aliquote fiscali per i ricchi provochino degli entusiasmanti benefici collettivi è molto discutibile, e non ha riscontri sul piano economico. Ma è bene non dirlo.