Ecco il vecchio trucco di rivestire con un alone di scientificità le rivendicazioni di chi mira a trattenere per sé una maggior quota di ricchezza
Tutto nella norma: i presidenti dell’Usam, della Camera di commercio, dell’Aiti e della Federazione ticinese dei fiduciari si pronunciano in modo inequivocabile a favore della riforma della Legge tributaria che mira a ridurre del venti per cento le aliquote massime dell’imposta sul reddito. Infatti, le corporazioni che rappresentano esistono proprio per questo: per difendere a spada tratta determinati interessi settoriali, anche se tali interessi sono in netta contrapposizione con quelli dell’intera collettività.
Va detto che l’esercizio dei “crociati” nostrani non è per nulla semplice: cioè, riuscire a convincere la maggioranza della popolazione che un minor carico fiscale sulle spalle di una ristrettissima fascia di contribuenti molto facoltosi non vada a beneficio esclusivo dei diretti interessati, ma che si tratti in realtà di un’esigenza “oggettiva” dettata dal contesto.
A correre in soccorso dei nostri eroi feudo-liberali e della loro missione ci pensa poi il Centro di competenze tributarie della Supsi che, casualmente, nello stesso giorno in cui il comitato favorevole alla riforma si presenta davanti alla stampa, pubblica un rapporto dal titolo eloquente: “Il prelievo fiscale nei Cantoni e nella Confederazione ai fini delle imposte dirette”. Uno studio dal quale emerge la ventiduesima posizione del Canton Ticino nella classifica della concorrenza fiscale intercantonale per quel che riguarda le persone fisiche. Vecchio trucco dell’ortodossia neoliberale: rivestire con un alone di scientificità fatto da tante cifre e nessuna contestualizzazione politico-sociale le rivendicazioni di un settore, come quello che in questo caso mira a trattenere per sé una maggior quota di ricchezza oggi ridistribuita attraverso le imposte.
Tuttavia la frase più significativa dell’intera presentazione andata in scena ieri appartiene alla capogruppo liberale Alessandra Gianella. La sua tesi secondo la quale in Ticino “gli incentivi per lavorare mancano sempre di più” è davvero notevole. Probabilmente in maniera inconsapevole, Gianella riporta la discussione al suo vero punto: il salario dei ticinesi. Salario che più che un incentivo è una necessità per molti (per esempio per chi non porta il cognome giusto). In effetti, che in Ticino si stia discutendo di un possibile sgravio fiscale del 20% a favore dei più benestanti ancora prima di cercare di porre rimedio al differenziale di salario nei confronti del resto della Svizzera – anch’esso del 20% –, dal quale tra l’altro deriva la necessità dello Stato di mantenere una pressione fiscale maggiore sui grandi contribuenti rispetto alla media, è paradossale. Anzi, sintomatico. Sintomatico dell’incapacità della classe politica di tutelare gli interessi della collettività di fronte agli appetiti di un gruppo sociale parecchio potente che nel tentativo di conservare intatti i propri privilegi rischia di danneggiare ulteriormente l’intero tessuto socioeconomico.
Valga come esempio di tale incapacità la “confessione” della domenica mattina di chi – il capogruppo del Centro Maurizio Agustoni – nei dibattiti parlamentari aveva dimostrato una certa ragionevolezza, e che ora dice di aver capito come “in un periodo di ristrettezze finanziarie per il Cantone può sembrare contraddittorio proporre sgravi fiscali che, in larga misura, vanno a beneficio di una ristretta cerchia di contribuenti facoltosi”, ma che nonostante ciò “personalmente” sosterrà la riforma. Tutto nella norma.