Ci si dimentica spesso di vivere in un Paese che fornisce prima di tutto servizi finanziari. E che ciò comporta vantaggi, oneri ed effetti distorsivi
Nel cimitero ebraico di ‘La Tablada’ riposano i resti del banchiere improvvisato più brillante che il quartiere ‘Undici’ – un tempo quartiere prettamente ebraico, oggi metà ebraico-metà coreano – abbia mai conosciuto. Un personaggio, il nostro, degno di un racconto di Isaac Bashevis Singer ma in un altro scenario: al posto della periferia di Varsavia, le strade di Buenos Aires. Dall’Obelisco, punto centrale della capitale argentina, a bordo del bus 180 ci si mette poco più di un’ora per arrivare a La Tablada, nel cuore di La Matanza, una delle località più popolate, povere e pericolose del cosiddetto Conurbano. Un viaggio estenuante a prescindere, impossibile per chi, come il sottoscritto, si trova in Ticino. Sarà forse per questo che ogni discesa al caveau di una banca, in centro a Locarno, diventa ciò che più si avvicina a una visita all’irraggiungibile cimitero: le cassette di sicurezza come le tombe di un mausoleo, i ricordi custoditi, il silenzio, il freddo...
La Svizzera come un enorme caveau è un’immagine ricorrente. Talmente frequente che ci si dimentica pure di vivere in un Paese che, in quella che i Classici (Smith, Ricardo, Marx) denominarono “la divisione internazionale del lavoro”, ai mercati esteri fornisce prima di tutto servizi finanziari. La materia prima per eccellenza della Confederazione è il franco svizzero, valuta rifugio dell’economia mondiale, simbolo elvetico di stabilità finanziaria, giuridica e politica. Certo, ci sarebbe la tentazione di vantarsi di tutti questi pregi, ma non bisogna dimenticare che si tratta – anche – di un ruolo dalle radici storiche attribuito alla Svizzera dalla comunità internazionale.
Fatto sta che, alla pari di quel che accade in certi Stati fortemente dipendenti dall’esportazione di un singolo prodotto (si pensi per esempio ai Paesi dell’Opec e ai prezzi del petrolio), in Svizzera le oscillazioni di valore del franco determinate dalle decisioni di politica monetaria della Banca nazionale giocano un ruolo decisivo per l’andamento dell’economia in generale, e delle finanze pubbliche in particolare.
Così nel primo trimestre del 2024 l’indebolimento del franco, avvenuto dopo il taglio di un quarto di punto del tasso guida della Bns, ha permesso all’istituto di emissione di registrare un utile contabile di quasi 60 miliardi. Utile record che si spiega quasi nella sua totalità per via del nuovo tasso di cambio: ora le posizioni in valuta estera (euro soprattutto) espresse in franchi “valgono” di più. Un risultato parziale che non garantisce alcuna distribuzione di dividendi a Confederazione e Cantoni alla fine dell’anno, hanno subito messo le mani avanti le autorità della Banca.
A ogni modo il ritrovato paradigma di politica monetaria, sorretto da tassi decrescenti e imboccato dalla Bns in anticipo rispetto a Fed e Bce, permette a tutti noi, figli della Banca nazionale, di sperare in un qualche riscontro (quota di utile) che vada a compensare, almeno in parte, l’onere – nonché gli effetti distorsivi – derivante dal fatto di essere i guardiani della ricchezza altrui “seppellita” nel nostro territorio-caveau.
In Ticino ci sarà chi avrà già cominciato ad accendere una qualche candela a ‘mamma’ Bns; chi si ostinerà a dire – misconoscendo l’evidenza – che quella della Banca nazionale non è da considerare un’entrata strutturale; e chi, come il sottoscritto, coglierà in tutto questo l’occasione per ricordare un banchiere improvvisato di Buenos Aires che non c’è più.