8 marzo: non un appuntamento con dei buoni propositi che il giorno dopo finiscono nel compostaggio. Ma quello di una reale parità che fiorisca ogni giorno
Non saresti qua a regalare i tuoi primi sorrisi al mondo, figlia mia, se la mia promozione lavorativa fosse arrivata qualche mese prima.
L’aut aut “carriera o famiglia” – o comunque un solido assestamento di una delle due sfere prima di poter ambire all’avanzata dell’altra – mi sembrava, per me in quanto donna, un destino ancora ineluttabile nel nostro piccolo triangolo di terra. Un’autolimitazione a cui mi sarei sottoposta con arrendevole naturalezza, pur sapendola ingiusta.
E invece per una fortuita concomitanza di eventi e una capacità delle persone coinvolte di decostruire, non solo a parole, la prassi dei doppi standard – quella per cui una condizione di futuro papà non avrebbe dato adito nemmeno a una “paturnia” –, incinta di cinque mesi mi sono ritrovata vicedirettrice di questo giornale. Il timore di non essere all’altezza da allora non mi abbandona. Sarò in grado di dare il mio contributo all’informazione, alla direzione del quotidiano, ad accompagnarti, cammin facendo, in un’esistenza felice e che ti faccia sentire realizzata? Non lo so.
Ma ho accettato la sfida soprattutto pensando al tuo futuro, perché rinunciare a un’opportunità ancora così rara oggigiorno avrebbe significato aggiungere del ritardo a quell’appuntamento con la parità di genere a cui spero tu riesca ad arrivare in tempo. Non quello cadenzato dell’8 marzo che perlopiù odora di mimose recise, come i buoni propositi delle ricorrenze che il giorno dopo finiscono nel compostaggio. Ma quello con una reale parità di diritti e possibilità che fiorisca ogni singolo giorno dell’anno, ovunque desidererai muovere i tuoi passi, e tutto intorno.