laR+ IL COMMENTO

Canone, per una manciata di caramelle

Per contrastare sia l’iniziativa sia la revisione dell’ordinanza, sarebbe necessario un disegno strategico complessivo (e autocritico) della stessa Ssr

In sintesi:
  • Un risparmio di meno di 10 centesimi al giorno per utente comporterebbe la soppressione di almeno 150 posti di lavoro
  • Sarebbero da riconsiderare l’esubero anacronistico dell’offerta radiofonica pubblica e il numero e il ruolo dei quadri dirigenti
(Ti-Press)
5 febbraio 2024
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Questa volta il primo della classe è stato il governo ticinese. Sei pagine fitte in risposta alla procedura di consultazione del Datec, per opporsi con sorprendente unanimità (compresi i due leghisti), seppur con sfumature leggibili tra le righe, alla proposta di riduzione del canone radiotelevisivo dagli attuali 335 franchi a 300 entro il 2029. Non è un mistero che Albert Rösti voglia tentare di sabotare l’iniziativa “200 franchi bastano” che lui stesso (con un paradosso squisitamente elvetico) e il suo partito avevano lanciato e tenacemente caldeggiato.

Al posto di un dimezzamento de facto (considerando le esenzioni per le aziende) delle entrate per la Ssr, una riduzione di 35 franchi all’anno. Si tratterebbe per gli utenti di un risparmio di meno di 10 centesimi al giorno. Una diminuzione risibile, ma dalle conseguenze pesanti per la Ssr e per la Svizzera italiana: soppressione di almeno 150 posti di lavoro, calo drastico dell’indotto (manifestazioni e produzioni culturali, appalti esterni, artigiani, ecc...) che la generosa chiave di riparto (22% degli introiti per una regione che conta il 4,4% della popolazione) assicura alla nostra minoranza linguistica.

“Il contributo diretto della Rsi all’economia regionale – si legge nella risposta del Consiglio di Stato a Rösti – si traduce in una creazione di valore aggiunto lordo di circa 150 milioni”, l’equivalente della creazione di valore dell’intero settore alberghiero regionale. I cantoni sono spaccati, ma questa volta non lungo la faglia sismica del ‘Rösti Graben’: come il Ticino si sono espressi i Grigioni, il Giura, Basilea Città, ma anche Glarona o Turgovia, feudo Udc. A favore del canone a 300 franchi troviamo invece San Gallo e Lucerna, ma pure Vallese e stranamente Ginevra. Si accavallano in effetti diversi ragionamenti: chi considera che 300 franchi bastino, chi vede l’ordinanza come un deterrente contro l’iniziativa dei 200 franchi; e chi, come il Consiglio di Stato ticinese, considera che il risparmio individuale di dieci centesimi giornalieri possa avere conseguenze nefaste.

Per contrastare sia l’iniziativa sia la revisione dell’ordinanza, sarebbe necessario (ma al momento nulla sembra muoversi) un disegno strategico complessivo (e autocritico) della Ssr che tenga in considerazione i grandi mutamenti del mondo mediatico (dalla diffusione planetaria di piattaforme streaming, all’esubero anacronistico dell’offerta radiofonica pubblica, fino al numero e ruolo dei quadri dirigenti). La Rsi in un contesto concorrenziale elevato mantiene significative quote di mercato (18% circa per La 1, 6,5% per La 2, Rete Uno ha poco più del 35%, Rete Due 4%, Rete Tre 16%). Ma oltre a queste è chiamata a salvaguardare la qualità dei programmi, evitando di sacrificare, con qualche rovinosa caduta nella banalità ombelicale o con interviste-scendiletto, quelle peculiarità che ne fanno la forza: dal Tg, a Seidisera, da La Storia infinita a Modem, ai programmi di Rete Due, ma anche a un intrattenimento “leggero e pensoso”, gli esempi virtuosi non mancano.

Sono proprio questi a convincerci che qualsiasi ridimensionamento non solo sia economicamente autolesionistico ma che rischi di sottrarci prezioso cibo per la mente: un’offerta indipendente, aperta sulla Svizzera e il mondo, credibile, intelligente e popolare.

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