laR+ IL COMMENTO

Il bulletto razzista, il compagno di classe e il magistrato

Che sia penalmente rilevante o meno, l’insulto razzista va riconosciuto e combattuto. L'esempio viene dall'alto, dall'istituzione, anche dalla scuola

In sintesi:
  • Ed è il colmo: chi è incivile alla fine l’ha pure vinta
  • La scuola ha messo i ragazzi in due classi diverse, ma in un primo momento, aveva risposto ai genitori della vittima di non poter controllare una chat creata dagli studenti per studiare. Come dire, non possiamo farci nulla
Depositphotos
27 gennaio 2024
|

Dove i genitori sono stati latitanti è arrivata (veloce ed efficace) la Magistratura dei minorenni, sanzionando qualche mese fa un ragazzino delle Medie che aveva ripetutamente insultato nella chat dei compiti un compagno di classe delle Medie di Lugano per il colore della sua pelle. Insulti e minacce ripetuti: ‘Sei un brutto negro. Sei uno scimmione africano. Ti pesto a sangue’. Il leoncino da smartphone 13enne è stato condannato per discriminazione razziale (un reato perseguibile d’ufficio) e minaccia (due giornate, sospese, di lavori di utilità pubblica). Risultato: ha abbassato la criniera. Seppur oberata (lo scorso anno ha aperto 1’426 incarti), la Magistratura dei minorenni non ha perso tempo e ha preso sul serio la sofferenza dell’adolescente. In poco meno di tre mesi, bullo, vittima e rispettivi genitori sono stati convocati e ascoltati; gli inquirenti hanno vagliato le prove e c’è stato il decreto.

Da giugno scorso abbiamo seguito e raccontato questa brutta storia di razzismo nata tra i banchi di scuola e continuata sulla piattaforma social, perché volevamo anche osservare come le varie istituzioni reagiscono.

La magistratura è stata tempestiva. La scuola ha messo i ragazzi in due classi diverse, ma in un primo momento, aveva risposto ai genitori della vittima di non poter controllare una chat creata dagli studenti per studiare. Come dire, non possiamo farci nulla. Eppure la condanna dice altro.

A volte ci si perde in disquisizioni giuridiche tra spazio pubblico e spazio privato, perdendo di vista i contenuti, la ferocia degli insulti, la sofferenza che causano, la disarmante giovane età dei bulli, la latitanza dei genitori. Toccherebbe a loro vigilare sull’uso che un adolescente fa dello smartphone. Che sia penalmente rilevante o meno, l’insulto razzista va combattuto. Questo decreto è un segnale forte per scuola, docenti, genitori, ragazzi e società tutta.

Soprattutto per la scuola, dove i ragazzi trascorrono tanto tempo, dove si insegna cos’è il razzismo e dove spesso iniziano questi episodi. Ogni istituto dovrebbe avere un punto di riferimento per i casi di razzismo, dove docenti, studenti (sia vittime, sia autori) e familiari possono rivolgersi. Il passo successivo è prendere provvedimenti adatti alla situazione per evitare la vittimizzazione secondaria e aiutare anche l’aggressore. Un bullo rinsavito è una buona cosa per tutti. La tendenza diffusa è purtroppo lasciar correre. Intervenire invece è importante. Sono problematiche che secondo Martine Brunschwig Graf, presidente della Commissione federale contro il razzismo, andrebbero tematizzate nel percorso formativo dei direttori scolastici.

Dopo il nostro articolo, altre famiglie hanno segnalato al Centro per la prevenzione delle discriminazioni (Cpd) casi simili in contesti scolastici. Il punto è che spesso i genitori delle vittime sono stranieri e non sanno cosa fare, quali sono i loro diritti; temono che reagendo la situazione possa peggiorare. Dicono ai loro figli di tenere duro, magari tentano un dialogo coi genitori del bullo. Alla disperata cambiano scuola. Ed è il colmo: chi è incivile alla fine l’ha pure vinta. Nel caso di cui abbiamo riferito, uno dei genitori è ticinese e ha deciso di reagire contro questo bombardamento di fango che toglieva l’appetito a suo figlio. La pena è leggera, ma la famiglia si è sentita presa sul serio e gli insulti sono terminati. L’esempio viene dalle istituzioni: se non si proteggono le vittime, passa il messaggio che nessuno è responsabile e il razzismo è tollerato.