LA TRAVE NELL’OCCHIO

Auschwitz è intorno a noi

Oggi sono le guerre sbagliate, quelle di Hamas e di Israele, che puntano alla sopraffazione: due forme di estremismo che impediscono qualsiasi dialogo

In sintesi:
  • La peste si è spenta ma il morbo è sempre presente e i segni premonitori ci sono tutti
  • Oggi l’ignoranza ammorba, acceca. È l’eclissi della memoria.
Ritorna lo spettro dello sterminio
(Keystone)

Gaza. La ferocia inaudita di Hamas: e i bambini trucidati. I bombardamenti di Netanyahu: e i bambini moribondi e dilaniati. Bambini, ebrei e palestinesi, uguali, incolpevoli, chiedono di vivere e pagano le conseguenze del cieco fanatismo e di due estremismi.

Mi vengono in mente le ultime lucidissime riflessioni di Amos Oz, un grande della letteratura civile di Israele, scomparso nel 2018. Gli arabi palestinesi – ci dice Oz e riassumo – fanno simultaneamente due guerre. Una assolutamente legittima, e una sbagliata e riprovevole. Quella legittima è la guerra per il diritto del popolo palestinese a essere libero nella propria terra. Ma il popolo palestinese (o una parte di esso, aggiungo io) combatte pure una guerra sbagliata, quella che vuole privare Israele del diritto di esistere. Da parte sua, il popolo d’Israele combatte una guerra assolutamente legittima che è l’essenza del pensiero sionista: essere un popolo libero nella propria terra. Ma allo stesso tempo (una parte di esso) combatte una guerra sbagliata perché vuole due stanze in più per la propria casa (le colonie della Cisgiordania), a spese dei vicini palestinesi.

Oggi sono le guerre sbagliate, quelle che puntano alla sopraffazione, a prevalere. E allora distinguiamo: la guerra di Hamas è la guerra sbagliata, che li vuole tutti morti, gli ebrei, e lo statuto dell’organizzazione, del 1988, non concede dubbi in proposito. La risposta di Netanyahu è la guerra sbagliata, di chi non rinuncia alle due stanze in più e la pacifica conciliazione non fa parte del programma. Sono due forme di estremismo che impediscono qualsiasi dialogo.

L’eclissi della ragione

Primo Levi ci avvertiva di stare in guardia: “Auschwitz è fuori di noi, è intorno a noi”; la peste si è spenta ma il morbo è sempre presente e i segni premonitori ci sono tutti: il disconoscimento della solidarietà umana, l’indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l’abdicazione dell’intelletto e del senso morale. E oggi il morbo letale è risorto.

Leggo della caccia all’ebreo nel Daghestan, a Roma si oltraggiano le pietre d’inciampo delle vittime dei nazisti, a Vienna si brucia il cimitero ebraico, in Francia si accoltella la donna ebrea, negli Stati Uniti gli episodi di aggressione agli ebrei si moltiplicano e lo studente raccomanda: se vedi un ebreo tagliagli la gola. E si inneggia all’Olocausto. E poi ci sono gli apologisti di Hamas che si fanno paladini della liberazione dei popoli, condannano il colonialismo occidentale e intanto inneggiano a Stalin e Hitler. In Inghilterra c’è chi si rifà all’articolo 7 dello Statuto di Hamas e ogni commento è superfluo: “L’ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno”.

L’avversione per gli ebrei è un caso particolare di un fenomeno più ampio: è l’avversione per chi è diverso da noi e di chi fa delle differenze l’origine del nostro malessere sociale, economico, culturale.

Oggi l’ignoranza ammorba, acceca. È l’eclissi della memoria. Ritorna lo spettro dello sterminio, dell’essere umano da eliminare, per quello che è e non per quello che ha fatto.

Inquieta l’oscuramento della ragione di tanti giovani. C’è un’evidente mancanza di conoscenza e di memoria storica che aiuti a scansare le semplificazioni e le strumentalizzazioni per fini ideologici; o sei di qua o sei di là: è il pensiero binario e la complessità della realtà non è ammessa.

Non ripetete i nostri errori

Biden aveva raccomandato: “Non ripetete i nostri errori”, ma Netanyahu ha continuato dissennatamente a sparare nel mucchio, “con una violenza inaudita” constatano i medici di “Médecins sans frontières”.

Amos Oz, per terminare con lui, si chiedeva se ci fosse in circolazione una persona in grado di ragionare in favore di due Stati e due popoli e di convincere gli israeliani ebrei “a fare una cosa che nel profondo del loro animo sanno che bisogna fare”, ossia rinunciare alle pretese sui territori occupati perché “si può vivere benissimo senza quei territori”. Sapeva che quella persona non è Netanyahu che concepisce la politica come una guerra fra amici e nemici senza soluzione di continuità. Un’idea, quella di Netanyahu, di politica “contro” il cui obiettivo è la delegittimazione dell’avversario e non la ricerca del dialogo e la disponibilità all’ascolto delle ragioni dell’altro. Diciamo che Netanyahu è un esponente di quella che gli anglosassoni chiamano “negative politics”: purtroppo la categoria è in espansione, e non è un buon segno.

(A proposito, un volumetto da non mancare: Amos Oz, Resta ancora tanto da dire. L’ultima lezione, Milano, Feltrinelli, 2023).

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